1

Pianeti

Dal greco antico πλάνητες ἀστέρες, plànētes astéres ovvero, “le stelle vagabonde”, i pianeti nell’antichità erano tutte quelle stelle che si muovevano rispetto alle altre. Ancora oggi, visti ad occhio nudo, i pianeti appaiono come stelle luminose in moto rispetto alle altre. Alcune si vedono solo poco prima dell’alba o poco dopo il tramonto (Mercurio e Venere), altri durante tutta la notte (Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno). Fino al 2006 Plutone era l’ultimo pianeta del Sistema Solare, ma venne declassato alla categoria di pianeta nano insieme a Cerere, scoperto dal valtellinese Giuseppe Piazzi, ed altri asteroidi transnettuniani.

Monumento dedicato a Giuseppe Piazzi a Ponte in Valtellina (SO).

Bisognerà aspettare il 1610 per scoprire, grazie a Galileo, che quelle stelle vagabonde in realtà erano corpi celesti del tutto simili alla Terra. Solo allora la Terra divenne un “pianeta”. Al telescopio Mercurio e Venere presentano le fasi, come la Luna, e questo si scoprì essere dovuto al fatto che i due pianeti si trovano più vicini al Sole della Terra. Vennero chiamati pianeti interni. Gli altri, di conseguenza, vennero chiamati pianeti esterni. Di tutti i pianeti esterni, Saturno presenta un complesso sistema di anelli scoperti da Christiaan Huygens nel 1655. I pianeti più lontani dal Sole, rispettivamente Urano e Nettuno vennero scoperti solo nel 1781 da William Herschel e nel 1846 da John Couch Adams.

DETTAGLI: l’immagine è un collage di foto planetarie riprese con diverse camere e telescopi. Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/astrofotografia/astrofotografia-solare-lunare-e-planetaria/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Crateri Lunari

Ci fu un periodo, tra i 4.1 e 3.8 miliardi di anni fa, in cui le regioni interne del Sistema Solare vennero colpite da numerosi corpi minori quali comete e asteroidi. Durante questo periodo che prende il nome di “Intenso Bombardamento Tardivo (LHB)” la Luna subì numerosi impatti che lasciarono sulla sua superfice le cicatrici che oggi chiamiamo crateri lunari. Ad oggi sono più di un milione i crateri il cui diametro è superiore al chilometro. Durante gli impatti più violenti, la crosta lunare si è fratturata facendo emergere il magma presente nel mantello. Questo ha coperto i bacini da impatto formando quelli che oggi chiamiamo mari e che avrete visto, o che vedrete, in questa mostra. 

I crateri possono a loro volta sovrapporsi tra loro e presentare delle catene montuose associate. A 1571 crateri è stato dato un nome proprio. Nella foto che state vedendo i più grandi crateri sono, dall’alto verso il basso: Teofilo, Cirillo e Caterina. Teofilo, che prende il nome da San Teofilo di Alessandria, ha un diametro di 104 km con una piccola catena di monti centrali alti 1400 metri rispetto alle zone circostanti. Cirillo invece prende il nome da San Cirillo di Alessandria, ha un diametro di 98 km ed è più antico di Teofilo. Infine, Caterina, dal nome della Santa Egizia, è il più antico ed ha un diametro di 99 km.

I crateri Teofilo, Cirillo e Caterina sovrapposti all’Italia (nella stessa scala) per visualizzarne le dimensioni. [Foto UAI]

Il fatto che sulla Luna i crateri più antichi sono quelli dai profili meno secchi è dovuto all’erosione che, nel caso del nostro satellite naturale, avviene per bombadamento di micro-meteoriti, particelle e per l’elevata escursione termica tra le zone di luce e di ombra.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera ToupTek G3M178C e telescopio Maksutov 127 mm f/11.8. Essa è un mosaico di 10 immagini, ciascuna somma di 500 scatti. Riprese effettuate il 21/04/2018 da Varenna (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2018/05/crateri-caterina-cirillo-e-teofilo-21042018/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Appennini Lunari

Gli elementi geomorfologici più rilevanti della Luna sono sicuramente i crateri. Questi ricoprono, seppur in modo non uniforme, tutta la superficie del nostro satellite naturale come mostrato dalle immagini presenti in questa mostra. Gli impatti avvenuti in passato con corpi minori del Sistema Solare, produssero un corrugamento della crosta lunare sia lungo i bordi dei crateri che nei loro dintorni. In taluni casi l’impatto portò persino all’innalzamento della crosta lunare al centro del cratere. Questi innalzamenti e corrugamenti hanno strutture morfologiche simili alle catene montuose terrestri anche se, dal punto di vista geologico, la loro natura è completamente diversa. Nonostante ciò, tale somiglianza ha portato all’attribuzione a tali strutture del termine “monti lunari”. Alle catene montuose più estese venne poi dato un nome proprio di derivazione terrestre, così come alle vette più elevate. Sulla Luna abbiamo pertanto la catena delle Alpi, degli Appennini, dei Carpazi, il Caucaso e i monti Tauri. Ovviamente la montagna più alta della Alpi lunari non poteva non chiamarsi Monte Bianco.

La montagna più alta della Luna non appartiene alle Alpi ne tantomeno si chiama Everest. Essa appartiene invece alla catena degli Appennini lunari, si chiama Monte Huygens ed è alta 5500 metri. La catena degli Appennini lunari si estende per circa 600 km e, nella zona del Monte Hadley allunò la missione Apollo XV. Osserviamo insieme il paesaggio appenninico lunare, così come ripreso dagli astronauti della missione Apollo. Parte del video è stato ripreso a bordo del rover lunare:

 

A differenza delle immagini riprese da Terra, il profilo dei monti lunari nei video delle missioni Apollo appare morbido. Questo perché le fotografie terrestri vengono effettuate con la luce radente generando ombre allungate e conseguentemente profili aguzzi delle catene montuose.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera ToupTek G3M178C e telescopio Maksutov 127 mm f/11.8. Essa è un mosaico di 18 immagini, ciascuna somma di 500 scatti. Riprese effettuate il 24/04/2018 da Varenna (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2018/11/montes-apenninus-24042018/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Sole

La stella più luminosa del cielo non si vede di notte. Questo perché, quando sorge, la sua luce è così intensa che si diffonde ed illumina la nostra atmosfera di colore azzurro. Questa stella si chiama Sole ed è così brillante che la sua luce riesce a scaldarci fornendo al nostro pianeta quell’energia che ha dato origine e che preserva la vita. Guardandola da lontano però la nostra stella è solo una delle miliardi di miliardi di stelle che costituiscono il nostro Universo. La differenza tra il Sole e le altre stelle è principalmente la distanza. Infatti, se il Sole si trova a 150 milioni di km dalla Terra, la stella più vicina, Proxima Centauri, si trova a ben 40 milioni di miliardi di km da noi.

Come le altre stelle, il Sole è un’immensa palla di gas e plasma del diametro di circa 1 milione e 400 mila km, in perfetto equilibrio tra esplosione nucleare e collasso gravitazionale. Un equilibrio mantenuto da circa 5 miliardi di anni e che verrà mantenuto per i prossimi 5 miliardi di anni. Il gas che compone il Sole è opaco partendo dal centro, dove si raggiungono 15 milioni di gradi, fino alle regioni più esterne dove la temperatura è pari a circa 6000°C. Questa condizione identifica una regione che chiamiamo fotosfera o superficie solare. Oltre la fotosfera il gas diviene trasparente tranne le zone più dense che vanno a costituire quella zona detta corona solare e che si vede durante le eclissi totale di Sole.

Particolare della macchia solare. [Foto ASTROtrezzi]

Tra la fotosfera e la corona solare c’è una zona detta cromosfera dove è possibile vedere getti di gas espulsi dal Sole nella direzione dello spazio interplanetario. Tali getti vengono detti protuberanze e possono assumere dimensioni ben superiori a quelle del nostro pianeta. Ci sono poi delle regioni del Sole più fredde, quindi trasparenti, che al telescopio appaiono come macchie scure. Queste macchie sono dette macchie solari e sono più numerose quando il Sole è maggiormente attivo. Il Sole, infatti, ha un ciclo di attività medio di 11 anni oscillando tra minimi e massimi. Il prossimo picco di attività solare è previsto per luglio 2025.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera astronomica QHY 5L-II-C e telescopio LUNT H-alpha 60mm BF1200 [Gruppo Amici del Cielo]. Essa è un mosaico di 4 immagini, ciascuna somma di circa 500 scatti. Riprese effettuate il 21/05/2016 da Sorico (CO). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2016/05/sole-in-h%ce%b1-21052016/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Equatore Celeste

Prima di visionare questa fotografia, vi consigliamo di soffermarvi sull’immagine intitolata “Polo Celeste Nord”. Così facendo avrete sicuramente appreso come le stelle, durante la notte, ruotano intorno a due punti fissi del cielo detti rispettivamente Polo Celeste Nord e Polo Celeste Sud. Guardando verso Sud, Est o Ovest è possibile vedere, dai nostri cieli, la linea di separazione tra le stelle che ruotano intorno al Polo Celeste Nord e quindi alla stella Polare e quelle che ruotano intorno al Polo Celeste Sud. Tale linea è detta Equatore Celeste. Osservando la foto, ripresa dall’Alpe del Giumello – Casargo (LC), è visibile a sud un intenso alone di colore giallo. Non è ne il tramonto ne l’alba ma inquinamento luminoso. L’inquinamento luminoso, una delle piaghe che stanno uccidendo in questi decenni l’Astronomia e l’osservazione amatoriale dell’Universo, è l’effetto dovuto all’indirizzamento verso l’alto di sorgenti di illuminazione artificiale. Un faretto da giardino, un lampione o un’insegna pubblicitaria se installata non correttamente può indirizzare della luce verso il cielo aumentandone la luminosità complessiva e riducendo il numero di stelle visibili. L’inquinamento luminoso impedirà in futuro di realizzare mostre come queste e a differenza di altre fonti di inquinamento, la colpa in questo caso e prevalentemente nostra.

Il nord Italia è una delle regioni con maggiore inquinamento luminoso del mondo. [Foto NASA]

Nella foto in particolare si vede l’inquinamento luminoso prodotto dalle città di Lecco, dalla Brianza e da Milano. Ebbene sì, un’illuminazione non corretta a Milano può generare effetti dannosi fino a 200 km di distanza!

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera Canon EOS 6D Mark II e obiettivo Canon EF 17-40mm f/4.0 L USM utilizzato a 17 mm f/6.3. Essa è la somma di 63 scatti, ciascuno esposto 180 secondi a 800 ISO. Riprese effettuate il 26/03/2022 dall’Alpe del Giumello, Casargo (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2022/03/startrails-allalpe-giumello-26-03-2022/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Polo Celeste Nord

“Eppur si muove!” disse Galileo Galilei al tribunale dell’inquisizione, al termine della sua abiura dell’eliocentrismo. Dopo circa quattrocento anni l’uomo moderno, rinchiuso nei suoi uffici o centri commerciali, non è più consapevole dei moti di rotazione e di rivoluzione del nostro pianeta. Chi vive lontano dagli altri grattaceli che hanno sostituito il Sole e le stelle con l’illuminazione artificiale si sarà sicuramente reso conto che gli astri, siano essi la Luna, il Sole, i pianeti o le stelle, si muovono durante la notte. Il loro moto, come ci insegnò Galileo e altri prima di lui, è dovuto principalmente alla rotazione del nostro pianeta. Infatti, la Terra ruota su se stessa con un periodo di circa 24 ore, quello che noi definiamo giorno. Le stelle che circondano il nostro pianeta e che possono essere ritenute fisse nel cielo, appaiono da Terra ruotare intorno a noi con lo stesso periodo. Questo è un moto relativo e parzialmente impercettibile. Come un bambino messo in rotazione su una giostra, gli unici punti che rimarranno fissi saranno quelli posti esattamente sopra e sotto il nostro pianeta. Per una pura coincidenza, in questi secoli, una stella si trova sopra all’emisfero boreale, a poca distanza dall’asse di rotazione terrestre. Si chiama Polare e, per quanto detto in precedenza, è l’unica stella a stare pressochè fissa durante tutta la notte.

Moto delle stelle intorno alla stella Polare fotografato da Sormano (CO). [Foto ASTROtrezzi]

Sopra l’emisfero australe invece non abbiamo nessuna stella luminosa. Il punto esatto posto sopra i due emisferi ed allineato con l’asse di rotazione è detto rispettivamente Polo Celeste Nord e Polo Celeste Sud. Possiamo quindi dire che la stella Polare si trova a pochissima distanza dal Polo Celeste Nord, come visibile nella foto esposta in questa mostra. Vista dal Polo Nord la stella polare si trova esattamente sopra la nostra testa. Spostandosi verso l’equatore, la sua posizione va via via abbassandosi verso l’orizzonte nord. All’equatore sarà esattamente sull’orizzonte. L’angolo tra la stella polare, o meglio tra il Polo Celeste Nord e l’orizzonte determina la latitudine del luogo da cui la stiamo osservando.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera Canon EOS 500D modificata per l’astrofotografia e obiettivo Canon EF 70 – 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 225 mm . Essa è la somma di 128 scatti, ciascuno esposto 300 secondi a 200 ISO. Riprese effettuate il 10/02/2016 da Briosco (MB). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2016/03/polo-celeste-nord-10022016/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Nebulosa NGC 6914

Nella costellazione del Cigno è possibile osservare numerose nebulose, resti di stelle esplose milioni di anni fa e dalle cui ceneri nascono e nasceranno nuove stelle. Generalmente queste sono nebulose ad emissione ovvero gas che si “accende” come fosse una lampada al neon cosmica, grazie alla radiazione emessa dalle stelle poste nelle sue vicinanze. Esistono però nebulose che non brillano di luce propria ma riflettono quella delle stelle vicine. Si chiamano nebulose a riflessione. Un esempio è NGC 6914 che potete visionare alla mostra. In questo caso, le neonate stelle di colore azzurro riflettono la loro luce sul gas e polveri che compongono la nebulosità residua. Un esempio simile è la nebulosità che circonda l’ammasso aperto delle Pleiadi che avrete visto o che vedrete in questa mostra. A differenza di altre nebulose, NGC 6914 non ha un nome proprio. Questo perché venne scoperta solo nel 1881 quando ormai le nebulose note erano migliaia e non a tutte veniva assegnato un nome. La sigla NGC 6914 significa che questo è il 6914° oggetto celeste del Nuovo Catalogo Generale (New General Catalogue, NGC), un catalogo stellare compilato nel 1880 dall’astronomo danese-irlandese John Dreyer sulla base delle osservazioni effettuate da John e William Herschel.

L’NGC non è l’unico catalogo astronomico, ne esistono numerosi tra i quali i più famosi sono il catalogo Messier (M) e l’Index Catalogue (IC).

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera CentralDS 600D II Pro e telescopio Ritchey-Chrétien 154 mm f/9. Essa è la somma di 18 scatti, ciascuno esposto 600 secondi a 800 ISO. Riprese effettuate il 28/10/2022 da Varenna (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2022/11/vdb-131-ngc-6914-28-10-2022/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Nebulosa Laguna e Trifida

Immersa tra milioni di stelle, nella direzione del centro della nostra galassia, troviamo la nebulosa Laguna. Alcuni milioni di anni fa, quella che era una regione ricca di gas e polveri iniziò a creare numerose zone di condensazione. Così, come fossero nuvole in formazione in un cielo sereno, si formarono addensamenti di gas che poi si trasformarono in quella che è la pioggia cosmica: la nascita delle stelle. Infatti, al centro di ogni zona di condensazione la densità del gas aumentò così come la temperatura fino a raggiungere l’innesco delle reazioni di fusione nucleare e quindi l’accensione delle giovani protostelle. Saranno proprio queste stelle neonate, visibili ancora oggi al centro della nebulosa, che con la loro luce (radiazione ultravioletta) andranno ad “accendere” quella che vediamo come una nebulosa di colore rosso. Ingrandendo l’immagine della nebulosa è possibile ancora oggi vedere dei centri di condensazione di gas e polveri noti come globuli di Bok.

Globuli di Bok nella nebulosa Laguna ripresi dal Passo del Mortirolo (BS). [Foto ASTROtrezzi]

In questa mostra avrete visto o vedrete numerose immagini di nebulose quali quella di Orione, la proboscide d’elefante e NGC6914. La nostra galassia ne possiede tantissime, indice di una vitalità ancora presente tra vita e morte delle stelle. Una piccola curiosità: le vedete quelle nubi bianco-gialle che circondano la nebulosa? Non sono gas. Ingrandendole al telescopio sono stelle!

Ritaglio dell’immagine originale per mostrare la quantità di stelle presenti.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera Canon EOS 500D modificata per l’astronomia e obiettivo Canon EF 200 mm f/2.8 L II USM ridotto a f/5. Essa è la somma di 25 scatti, ciascuno esposto 300 secondi a 800 ISO. Riprese effettuate il 25/06/2022 dall’Alpe del Giumello, Casargo (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2022/09/m8-ngc-6523-25-06-2022/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Nebulosa di Orione

Era il 1883 quando Andrew Ainslie Common riprese la prima fotografia di un oggetto celeste del profondo cielo. Si trattava di una delle nebulose diffuse più brillanti del cielo notturno, visibile persino ad occhio nudo da cieli sufficientemente bui: la nebulosa di Orione. Essa fa parte di una struttura più vasta nota come Complesso Nebuloso Molecolare di Orione ed è costituito da gas e polveri espulse circa dieci milioni di anni fa durante l’esplosione di stelle massive giunte al termine della loro vita. Gas e polveri ricchi di elementi pesanti sintetizzati all’interno di quelle fornaci cosmiche che sono le stelle. 300 mila anni fa, dallo scontro di questo materiale stellare, iniziò un processo di condensazione che sta portando tutt’ora alla formazione di nuove stelle. Il ciclo della vita stellare.

Quattro giovani stelle in particolare brillano al centro della nebulosa. A seguito della loro posizione relativa, prendono il nome di trapezio di Orione. Tra 100 mila anni, il vento stellare prodotto dalle stelle appena nate al centro della nebulosa spazzerà via tutto il gas e polveri rimaste e della nebulosa di Orione rimarrà solo un ammasso aperto. Una cosa simile a quella che deve essere successa, 100 milioni di anni fa, all’ammasso delle Pleiadi che avrete incontrato o incontrerete in questa mostra.

Il Trapezio di Orione ripreso da Varenna (LC). [Foto ASTROtrezzi]

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera CCD Atik 383L+ monocromatica e telescopio Newton 150 mm f/5 in combinazione con una camera Canon EOS 500D modificata per l’astrofotografia e telescopio rifrattore ED 80 mm f/7. Essa è la somma di 39 scatti monocromatici e 75 scatti a colori. Riprese effettuate il 25/12/2011 e il 29/12/2013 da Sormano (CO). Dati tecnici disponibili agli indirizzi https://www.astrotrezzi.it/2012/05/m42-ngc-1976-25122011/ e https://www.astrotrezzi.it/2014/02/m42-ngc-1976-29122013/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Nebulosa Proboscide d’Elefante

Le stelle sono delle immense fonaci atomiche. Durante la loro vita, nelle regioni più centrali, gli elementi primordiali quali idrogeno, elio e litio, vengono fusi per formare elementi più pesanti. A seconda delle dimensioni della stella è così possibile sintetizzare tutti gli elementi della tavola periodica fino al Ferro. La sintesi di elementi più pesanti consuma energia e porta la stella al collasso gravitazionale e quindi alla sua esplosione. La materia presente nelle regioni centrali della stella viene così espulsa nello spazio interstellare che di conseguenza si arricchisce di elementi pesanti. Inoltre, durante la fase esplosiva avvengono reazioni nucleari che portano alla formazione di tutti i restanti elementi della tavola periodica.

Proprio da quelle “nubi arricchite” nasceranno nuove stelle e pianeti. Proprio in quelle nubi c’erano più di 5 miliardi di anni fa gli elementi che costituiscono oggi il nostro corpo, gli alberi, i nostri gioielli e tutto quello che ci circonda quotidianamente. Una di queste nubi è nota con il nome di nebulosa proboscide d’elefante a seguito della sua forma che ricorda appunto la proboscide di un elefante. Essa si trova a circa 3000 anni luce da noi, visibile nella costellazione del Cefeo. Questa nebulosa, parte di un complesso più grande noto come IC1396 è ricca di elementi chimici, tra cui l’idrogeno, l’ossigeno e lo zolfo.

Utilizzando una tecnica astrofotografica nota come “fotografia a banda stretta” è possibile mettere in luce la distribuzione di questi elementi all’interno della nebulosa a scapito dei colori originali. L’immagine che potete osservare in questa mostra ne è un esempio. I colori blu rappresentano l’ossigeno, il giallo l’idrogeno ed il rosso lo zolfo. L’immagine a colori “reali” è riportata qui sotto:

IC 1396 ripresa da Varenna (LC). La nebulosa proboscide d’elefante è visibile in piccolo a destra. [Foto ASTROtrezzi]

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera CCD Atik 383L+ e telescopio Newton 150 mm f/5. Essa è la somma di 52 scatti con filtri H-alfa, OIII e SII. Riprese effettuate i giorni 02-03-05-08-10/09/2013 da Briosco (MB). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2013/09/ic-1396-02-03-05-08-10092013/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Luna

La Luna ha accompagnato la vita di noi essere umani fin dai primordi. La sua luce ha rischiarato di notte i sentieri ancor prima della scoperta del fuoco, il suo moto ha scandito il tempo e mosso le maree. La stessa parola “mese” deriva da “Luna” ed il numero dei suoi giorni ci ricorda il periodo di rivoluzione del nostro unico satellite naturale.

Situata a circa 384 mila chilometri di distanza, la Luna è il corpo celeste a noi più vicino. Proprio questa vicinanza, oltre alle sue esigue dimensioni, ha fatto si che nel corso di milioni di anni il suo moto sia diventato sincrono. Questo significa che per la Luna periodo di rotazione e rivoluzione coincidono e quindi, vista dalla superficie terrestre, mostra a noi sempre la stessa faccia. Malgrado ciò, la differente posizione della Luna durante il suo moto di rivoluzione intorno al nostro pianeta determina la presenza delle fasi: crescente, piena, calante e nuova.

La foto che state osservando mostra la Luna con una fase che taglia praticamente a metà la superficie detta “primo quarto”. Questa è la fase che assume il nostro satellite al primo quarto di orbita. Ogni quarto di orbita, della durata di circa sette giorni, è quello che noi oggi identifichiamo con il termine “settimana”. La condizione di “primo quarto” rappresenta il momento migliore per osservare il nostro satellite dove il sole radente evidenza le strutture della sua superficie come monti e crateri. Proseguite in questa mostra e soffermatevi di fronte ai quadri dedicati a queste strutture lunari.

Sito di allunaggio della missione Apollo XI ripreso da Varenna (LC). [Foto ASTROtrezzi]

La superficie presenta zone tortuose dette “terre” e vaste pianure sabbiose dette “mari”. Le terre sono più antiche e presentano le cicatrici del tempo originate dai numerosi impatti meteorici subiti circa 4 miliardi di anni fa. I mari invece sono più recenti, figli della solidificazione di grandi bacini di lava. In uno di questi mari, denominato “Mare della Tranquillità”, il 20 luglio del 1969 il modulo Eagle della missione Apollo XI toccò il suolo lunare portando i primi uomini sulla Luna. Il 16 novembre 2022 la NASA ha dato il via alle missioni Artemis che porteranno nel 2025 di nuovo gli uomini, ed in particolare la prima donna, sulla Luna.

Ascoltate l’audio originale del primo allunaggio dove viene pronunciata da Neil Armstrong la storica affermazione “questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità» :

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera ToupTek G3M178C e telescopio Maksutov 127 mm f/11.8. Essa è un mosaico di 9 immagine, ciascuna somma di 500 scatti. Riprese effettuate il 22/04/2018 da Varenna (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2018/05/luna-22042018/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Galassia di Andromeda

A “soli” 2.54 milioni di anni luce da noi esiste una galassia costituita da mille miliardi di stelle. Essa prende il nome dalla costellazione nella direzione della quale è possibile osservarla ad occhio nudo: Andromeda. Questa è la galassia a noi più vicina e allo stesso tempo è la più grande del nostro gruppo locale di galassie detto, per l’appunto, Gruppo Locale di cui fa parte la Via Lattea e la galassia del Triangolo le cui immagini sono presenti in questa mostra.

La galassia di Andromeda venne studiata nel 1925 dall’astronomo statunitense Edwin Hubble, il quale identificò un tipo particolare di stelle ivi presenti, le cefeidi, importanti per determinare le distanze cosmiche. In quegli anni infatti era ancora viva la discussione sulla possibilità dell’esistenza di altre galassie oltre la nostra. Ad Hubble venne poi dedicato il primo telescopio spaziale: l’Hubble Space Telescope (HST) lanciato in orbita il 24 aprile del 1990. Sarà proprio l’HST a riprendere la prima immagini ad altissima risoluzione di questa galassia che potete visionare cliccando sul seguente link : https://esahubble.org/images/heic1502a/ .

Particolare della galassia di Andromeda ripresa da Varenna (LC). [foto ASTROtrezzi]

Grazie agli studi effettuati sulla galassia di Andromeda abbiamo potuto iniziare ad investigare le profondità del Cosmo cercando di capirne la dinamica e le sue effettive dimensioni. Oggi, dopo cento anni siamo più coscienti di ciò che ci circonda e siamo pronti per affrontare le nuove sfide che la Fisica e la Cosmologia ci propongono: cos’è la materia oscura? Cosa è successo nei primi istanti dell’Universo? Dove è finito l’anti-universo?

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera CCD Atik 383L+ monocromatica e telescopio rifrattore tripletto APO FPL53 80mm f/6. Essa è la somma di 30 scatti con filtri rosso, verde, blu e luminanza, ciascuno esposto 600 secondi. Riprese effettuate il 12/12/2015 da Saint Barthélemy (AO). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2015/12/m31-ngc-224-12122015/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Galassia del Triangolo

La galassia del Triangolo è la seconda galassia più vicina a noi dopo quella di Andromeda che avrete incontrato o incontrerete durante la visita alla mostra. Venne scoperta nel lontano 1654 dall’astronomo siciliano Giovanni Battista Odierna ed è una galassia a spirale di dimensioni leggermente inferiori alla nostra. Essa dista dalla Terra 2.88 milioni di anni luce. Questo significa che l’immagine che stiamo osservando ora è partita da quella galassia 2.88 milioni di anni fa, quando sul nostro pianeta non era ancora apparso l’homo erectus.

Osservando in dettaglio l’immagine di questa galassia è possibile individuare la sua “fioccosità” ovvero il fatto che i bracci presentano delle grumolosità costituite da addensamenti di stelle. Sempre tra i bracci è possibile vedere delle macchie rosse: sono nebulose ad emissione simili a quelle che potete visionare in questa mostra, appartenenti però non alla la Via Lattea ma alla galassia del Triangolo. Lontane nebulose, resti di stelle esplose milioni di anni fa la cui luce raggiunge solo ora i nostri occhi. Vedere lontano nello spazio vuol dire viaggiare nel tempo, rivivere un passato lontano. Non c’è macchina del tempo più straordinaria di un telescopio.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una camera CentralDS 600D II Pro e telescopio Schmidt-Cassegrain 200 mm f/10, ridotto a f/7. Essa è la somma di 30 scatti, ciascuno esposto 360 secondi a 1600 ISO. Riprese effettuate il 10/01/2021 da Varenna (LC). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2021/02/m33-ngc-598-10-01-2021/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Eclissi Totale di Luna

La Luna ruota intorno alla Terra con un periodo pari a circa 29 giorni e mezzo. In particolare, la Luna si definisce “piena” quando, vista da Terra, è illuminata completamente dalla luce del Sole. Tale condizione si verifica circa una volta ogni mese e, vista dallo spazio, si traduce in un allineamento prospettico Sole – Terra – Luna.

Circa una volta ogni tre anni la Terra, intraposta tra Luna e Sole, può nascondere quest’ultimo alla vista della Luna. Pertanto, la superficie lunare, inizialmente illuminata dal Sole, viene a trovarsi per poco più di un’ora immersa nelle tenebre. Vista dal nostro pianeta, la Luna inizialmente piena viene lentamente ad oscurarsi dando luogo al fenomeno noto come eclissi di Luna. Se l’oscuramento è completo si parla di eclissi totale di Luna altrimenti si dice parziale. L’ultima eclissi totale di Luna visibile dall’Italia è stata il 16 maggio 2022, la prossima sarà il 14 marzo 2025.

La Terra vista dalla Luna durante un’eclissi totale.

Grazie alla nostra atmosfera, la Luna nella fase di massimo oscuramento non appare completamente buia ma si tinge di rosso. Questa colorazione è dovuta ai raggi del Sole che vengono deviati dall’atmosfera terrestre, fenomeno che normalmente chiamiamo tramonto e alba. Quindi potremmo affermare che, durante le eclissi totali, la superficie lunare viene illuminata dalla luce prodotta contemporaneamente da tutti i tramonti e le albe del mondo. Ovviamente la colorazione rossa sarà più o meno intensa a seconda delle condizioni atmosferiche presenti al momento dell’eclissi.

Eclissi totale di Luna su Menaggio (CO). [foto ASTROtrezzi]

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una Canon EOS 500D modificata per l’astrofotografia e telescopio Newton 200 mm f/5. Essa è uno scatto singolo da 5 secondi di posa a 200 ISO. Riprese effettuate il 27/07/2018 da Montefiore dell’Aso (AP). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2018/08/eclissi-totale-di-luna-27072018/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Cometa NEOWISE

L’astronomo statunitense Fred Lawrence Whipple definì le comete come delle grandi palle di neve sporca. Di dimensioni pari a circa 10 km, esse viaggiano nello spazio interplanetario. La stragrande maggioranza delle comete si sono formate agli estremi confini del nostro Sistema Solare, nella regione che oggi prende il nome di nube di Oort. Questa si trova al di là delle 20 mila unità astronomiche, ovvero 20 mila volte la distanza tra la Terra ed il Sole pari a circa 150 milioni di chilometri. A quella distanza il Sole appare come una stella brillante e la temperatura media si aggira intorno a 268 gradi sotto lo zero. In un lontano passato, circa 4.6 miliardi di anni fa, la forza di gravità ha fatto condensare l’acqua ivi presente andando a costituire quelli che sono i nuclei delle comete. A seguito di perturbazioni gravitazionali, questi nuclei cometari iniziano a muoversi e, attratti dal Sole, cadono verso di esso. Quando i nuclei cometari si avvicinano a meno di 800 milioni di km dal Sole, più o meno nei pressi dell’orbita di Giove, il ghiaccio inizia a sublimare trasformandosi in gas. Quest’ultimo sospinto dal vento solare va a creare la bellissima coda che contraddistingue questi corpi celesti. Oltre all’acqua vengono emesse polveri e altri tipi di gas che possono dare alla coda colori differenti (verde, azzurro, bianco).

Il nome delle comete è dato dal loro scopritore. Recentemente la NASA ha lanciato un telescopio spaziale denominato Wide-Field Infrared Survey Explorer o WISE. Questo telescopio, destinato all’osservazione dell’Universo nell’infrarosso è capace di identificare automaticamente comete ed asteroidi ed in particolare quelli che passano vicini al nostro pianeta (Near Earth Object o NEO). Il progetto è stato così battezzato NEOWISE. Nel 2020 il telescopio WISE ha scoperto una cometa denominata C/2020 F3 NEOWISE, la quale mostrò tutto il suo splendore intorno alla metà di luglio dello stesso anno.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una Canon EOS 40D modificata per l’astrofotografia e obiettivo Canon EF 100-400mm f/5.6 L IS USM utilizzato a 250 mm f/5.6. Essa è la somma di 36 scatti, ciascuno esposto 10 secondi a 1600 ISO. Riprese effettuate il 11/07/2020 dal Passo San Marco (BG). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2020/07/c2020-f3-neowise-11072020/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Ammasso delle Pleiadi

スバル ovvero Subaru: nome dato dai giapponesi all’ammasso stellare delle Pleiadi. Lo stesso nome è stato attribuito successivamente ad una nota casa automobilistica, il cui logo rappresenta cinque stelle tra le più luminose che costituiscono l’ammasso. Nell’antica Grecia sono invece sette le stelle ritenute più luminose, identificate con le sette sorelle: Asterope, Merope, Elettra, Maia, Taigete, Celaeno e Alcyone.

Logo dell'azienda automobilistica Subaru.

Logo dell’azienda automobilistica Subaru.

Come nel caso del doppio ammasso del Perseo, che avrete incontrato od incontrerete durante la visita alla mostra, anche le Pleiadi sono un ammasso aperto. Queste si sono formate circa cento milioni di anni fa, all’epoca dei dinosauri, e distano da noi 443 anni luce. Le circa mille stelle che costituiscono l’ammasso, ancora circondate dalla nebulosa molecolare gigante da cui sono nate, sono di colore blu. Dopo Sole e Luna, le Pleiadi a seguito della loro intensa luminosità sono state oggetto di raffigurazioni artistiche fin dai tempi più antichi come nel caso del disco di Nebra del 1600 a.C. Persino Giovanni Pascoli parlò di loro nel “gelsomino notturno”:

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.

dove la “Chioccetta” è il nome popolare attribuito all’ammasso aperto.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una Canon EOS 40D modificata per l’astrofotografia e telescopio Newton 150 mm f/5. Essa è la somma di 7 scatti, ciascuno esposto 600 secondi a 640 ISO. Riprese effettuate il 19/12/2014 dalla Colma di Sormano (CO). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2014/12/m45-ngc-1432-19122014/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Doppio Ammasso del Perseo

Tra i bracci della nostra galassia, la Via Lattea, è possibile trovare degli addensamenti di stelle che prendono il nome di ammassi aperti. Il loro nome, contrapposto a quello degli ammassi chiusi con cui venivano un tempo denominati gli ammassi globulari, indica gruppi di stelle relativamente giovani, formatesi da una comune nebulosa molecolare gigante. Tali stelle, di numero inferiore alle mille unità, sono legate debolmente tra loro dalla forza di gravità. Gli effetti mareali della Galassia vanno con il tempo a disgregare questi ammassi trasformandoli prima in un’associazione stellare visibile da Terra come “costellazione” (ad esempio parte del Grande Carro o le Iadi nel Toro) per poi ridurle a singole stelle. Anche il Sole doveva appartenere, cinque miliardi di anni fa, ad un ammasso aperto! Quest’ultimo si è poi disgregato nel tempo. Pertanto, le nostre sorelle sono ancora lì fuori, tra le migliaia di stelle che possiamo osservare di notte al telescopio.

Tra gli ammassi aperti più affascinanti del cielo boreale abbiamo il doppio ammasso del Perseo. Questo è un sistema composto da due ammassi aperti distinti posti a 6800 e 7600 anni luce dal Sole. Seppur vicini prospetticamente, i due distano tra loro circa 800 anni luce.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una Canon EOS 40D modificata per l’astrofotografia e telescopio Newton 200 mm f/5. Essa è la somma di 9 scatti, ciascuno esposto 600 secondi a 400 ISO. Riprese effettuate il 05/11/2015 dalla Colma di Sormano (CO). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2015/11/ngc-869-ngc-884-05112015/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>




Ammasso Globulare dell’Ercole

Intorno alla nostra Galassia orbitano dei piccoli ammassi di stelle noti come ammassi globulari. La forza di attrazione gravitazionale determina, con le sue simmetrie, la forma di questi gruppi di centinaia di migliaia di stelle che assumono un aspetto pressoché sferico. Sono 158 gli ammassi globulari orbitanti intorno al centro della nostra galassia; un numero assai piccolo se rapportato a quello delle galassie più grandi dove se ne contano a migliaia. Le stelle che formano gli ammassi globulari sono molto antiche, tanto quanta l’età della nostra galassia. La peculiarità di questi corpi celesti è l’elevata densità stellare: nello spazio che separa il Sole dalla stella più vicina, Proxima Centauri, troveremmo più di mille stelle! Queste condizioni rendono gli ammassi globulari un ambiente ostile alla formazione di sistemi planetari stabili. Malgrado ciò, il 16 novembre del 1974, venne inviato dal radiotelescopio di Arecibo (Porto Rico) un messaggio in direzione di uno degli ammassi globulari più noti tra quelli orbitanti intorno alla nostra galassia: l’ammasso globulare dell’Ercole. Ovviamente non abbiamo ottenuto ancora nessuna risposta, anche perché il segnale raggiungerà quelle stelle tra circa 25 mila anni. Infatti, tale ammasso globulare, il più luminoso del cielo boreale, dista 25100 anni luce dal Sole e contiene diverse centinaia di migliaia di stelle. Di seguito potrete ascoltare il “messaggio di Arecibo”:

Questo messaggio contiene, in formato binario, numerose informazioni relative alle principali discipline scientifiche quali la matematica, la chimica, la biologia e l’astronomia.

DETTAGLI: l’immagine è stata ripresa con una CCD ATIK 383L+ monocromatica e telescopio Ritchey-Chrétien 203 mm f/8. Essa è realizzata a partire da 24 scatti effettuati utilizzando filtri rosso, verde, blu e luminanza. Riprese effettuate il 16/05/2015 da Saint Barthélemy (AO). Dati tecnici disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/2015/05/m13-ngc-6205-16052015/ .

<< TORNA ALLA MOSTRA VIRTUALE >>