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Il fotoelemento: fotodiodo e photogate

Nell’articolo “È questione di elettroni” abbiamo visto come un fotone con energia superiore all’energy gap può produrre uno (o più) elettroni liberi in un semiconduttore. Nel caso particolare del Silicio abbiamo praticamente un rapporto uno ad uno tra fotoni incidenti ed elettroni liberati, almeno per quel che riguarda lo spettro visibile. In particolare la massima lunghezza d’onda “rivelabile” da un Silicio è quella associata ad un fotone di energia 1.12 eV, ovvero 1100 nm corrispondente al vicino infrarosso. Per quanto riguarda invece la minima lunghezza d’onda “rivelabile” il problema diviene più complesso dato che all’aumentare dell’energia del fotone entrano in gioco processi di perdita di energia che diminuiscono la possibilità di creare elettroni liberi. Per i raggi UV ad esempio l’energia necessaria per liberare un elettrone passa da 1.12 eV dell’energy gap a quasi 3.6 eV (valore assunto per fotoni ad alta energia come i raggi X o gamma molli). Dal punto di vista fenomenologico si usa dire pertanto che la lunghezza d’onda minima osservabile da un rivelatore al Silicio è pari a circa 350 nm.

Spesso ci si riferisce agli elettroni liberi come cariche elettriche. Tali cariche prodotte dalla conversione fotone/elettrone (noto come effetto fotoelettrico) dovranno essere successivamente trasportate in un luogo atto all’accumulo e alla conservazione delle stesse per periodi anche lunghi di tempo. Il tutto nel modo più efficiente possibile, ovvero senza che questi elettroni liberi vengano in qualche modo intrappolati nuovamente nel cristallo.

Per fare questo si utilizzano determinati tipi di semiconduttori detti drogati ovvero contaminati da atomi in grado di aumentare o inibire la conduzione del semiconduttore stesso. Si parla di semiconduttori drogati p se l’atomo contaminante inibisce il rilascio di elettroni liberi mentre si parla di semiconduttori drogati n se l’atomo contaminante fornisce elettroni liberi aumentando la conduzione. Si osservi infine come un atomo che inibisce la conduzione è assimilabile ad una buca in grado di catturare un elettrone libero.

Cosa succede se avviciniamo fisicamente due semiconduttori dello stesso tipo ma drogati in modo differenti (quella che prende il nome di giunzione p-n)? Come è possibile immaginare, gli elettroni in eccesso nel semiconduttore di tipo n saranno attratti dalle buche presenti nel semiconduttore di tipo p dando luogo ad un lento processo di diffusione. Tale processo terminerà con l’acquisto di un elettrone da parte dell’atomo contaminante p a scapito dell’atomo contaminante n. Questo significa che lentamente la parte di semiconduttore drogato p andrà a caricarsi negativamente (acquista elettroni) mentre la parte n positivamente (perde elettroni). Questa distribuzione di carica creerà un campo elettrico in capace di controbilanciare la diffusione e creare pertanto una condizione di equilibrio. Nella sottile regione tra i due semiconduttori p ed n non ci saranno elettroni liberi e quindi risulterà essere un perfetto isolante. Questa regione è nota come regione di svuotamento.

Supponiamo ora di applicare un potenziale positivo al semiconduttore drogato n e negativo al semiconduttore drogato p. Gli elettroni liberi nella regione n tenderanno ad andare verso l’elettrodo positivo così come gli elettroni del potenziale negativo andranno ad occupare le buche del semiconduttore di tipo p. A questo punto quindi elettroni e buche verranno sempre più allontanate dalla giunzione allargando la regione di svuotamento.

Perché è importante la regione di svuotamento? Perché in quella regione non ci sono elettroni liberi. Questo fatto è importantissimo per la conversione fotone/elettrone. Infatti riprendendo il problema originale da cui eravamo partiti, un elettrone prodotto dall’interazione del Silicio con un fotone (detto fotoelettrone) risulta indistinguibile dagli elettroni liberi naturalmente presenti nel semiconduttore. Se però tale fotoelettrone viene prodotto in una regione di svuotamento allora risulterà l’unico presente in quella zona, garantendone una corretta rivelazione. Inoltre bisogna notare come se l’elettrone libero viene prodotto in una zona ricca di buche allora la probabilità che sopravviva fino all’elettrodo è praticamente nulla.

Una volta prodotto il fotoelettrone nella regione di svuotamento, il potenziale applicato lo spingerà verso l’elettrodo producendo così un segnale di carica.

Schema di una giunzione p-n

Lo stesso risultato ottenuto con una giunzione p-n opportunamente alimentata (ci si riferisce come alimentazione inversa), può essere ottenuto con un solo semiconduttore drogato p o n ed un elettrodo in polisilicio carico positivamente e separato dal semiconduttore grazie ad una sottile superficie isolante (ossido di Silicio). Questo elettrodo attirerà a se gli eventuali elettroni liberi o riempirà le buche creando una regione di svuotamento. Un fotone che inciderà in tale regione di svuotamento produrrà un elettrone libero che verrà attratto all’elettrodo generando un segnale di carica. Questa struttura prende il nome di MOS (Metal Oxide Semiconductor).

Schema di un MOS

 

Una struttura in grado di convertire fotoni in elettroni è detto fotoelemento. A questo punto abbiamo due tipi di fotoelementi:

  • PHOTODIODE (fotodiodo): costituito da una giunzione p-n alimentata inversamente;
  • PHOTOGATE: costituito da un MOS.

Sia photodiode che photogate sono presenti nei sensori CCD e CMOS. Ma quali sono le differenze tra i due tipi di fotoelementi in termini di conversione fotone/elettrone? Le differenze si riassumono in una sola osservazione: l’elettrodo presente nel MOS può far assumere alla regione di svuotamento dimensioni molto maggiori di quelle che una giunzione p-n riesce a generare. Questo fa si che i photogate abbiano regioni sensibili alla luce molto più grandi rispetto ai fotodiodi. In termini operativi questo significa una maggiore capacità di raccogliere fotoni a parità di area. Questo pregio è anche un difetto in quanto l’elettrodo in polisilicio costituisce un elemento assorbente soprattutto per i fotoni a corta lunghezza d’onda (blu). Ad oggi le due tecnologie risultano in perfetta competizione.

Siano essi photodiode o photogate, i fotoelementi si comportano come condensatori. Infatti in entrambe i casi abbiamo delle distribuzioni di carica separate da un isolante (la regione di svuotamento). Il condensatore ha la funzione di accumulare le cariche nel tempo e quindi ecco che i fotoelementi oltre ad essere dei buoni convertitori fotone/elettrone sono anche dei buoni “accumulatori”. I photogate possono accumulare più carica dei fotodiodi date le sue maggiori dimensioni effettive.




È questione di elettroni

Nell’articolo Un Universo di fotoni, abbiamo visto come qualsiasi oggetto celeste, dalle stelle alle nebulose, può essere interpretato come una sorgente di fotoni. Scopo di uno strumento visivo, come gli occhi o le fotocamere, è quello di raccogliere questi fotoni di origine cosmica e ricostruire l’immagine della sorgente che li ha generati.

Per comprendere a fondo il processo di cattura dei fotoni è necessario comprendere come questi interagiscono con la materia.

Il termine materia è molto generico ed indica sostanzialmente tutto quanto ci circonda (luce esclusa).

Per quanto riguarda la rivelazione dei fotoni ci concentreremo particolarmente su quella classe di materiali noti come solidi trascurando di conseguenza i liquidi ed i gas.

Così come tutta la materia, anche i solidi sono costituiti da atomi ciascuno formato da un nucleo ed un certo numero di elettroni. A differenza del classico modello di “atomo libero”, nei solidi gli elettroni non appartengono ad un determinato nucleo atomico ma sono condivisi da tutti i nuclei disposti secondo quello che prende il nome di reticolo cristallino. Detto questo le caratteristiche elettriche di un solido saranno determinate dalla mobilità degli elettroni all’interno del solido. Se un solido dispone di numerosi elettroni liberi si dice essere un buon conduttore altrimenti si parla di isolante.

Esistono dei solidi dove naturalmente gli elettroni sono legati fortemente ai nuclei atomici ma con un piccolo apporto di energia dall’esterno è possibile renderne alcuni liberi trasformando quello che naturalmente era un isolante in un conduttore di elettricità. Questa classe di solidi prende il nome di semiconduttori.

L’apporto di energia necessario per rendere un elettrone libero è detta energy gap ed è diversa da semiconduttore a semiconduttore. Nel caso del Silicio questa vale, a temperatura ambiente, 1.12 eV.

Cosa succede ora se un fotone urta un blocco di semiconduttore? L’energia del fotone verrà trasferita ad uno degli elettroni presenti nel mezzo e se questa sarà superiore all’energy gap del solido, renderà tale elettrone libero.

L’importanza della “conversione” di fotoni in elettroni è legata principalmente all’impossibilità attuale di confinare la luce. In particolare il duetto luce visibile – Silicio si è rivelato chiave nella conversione fotone-elettrone. Infatti per fotoni con l’energia della luce visibile (1.7 – 3.1 eV) c’è praticamente una relazione uno ad uno tra fotoni incidenti ed elettroni liberi generati. La logica di base della fotografia digitale è quindi quella di convertire il numero di fotoni incidenti sul sensore in elettroni che, opportunamente manipolati, genereranno un segnale digitale in grado di riprodurre su un opportuno schermo la distribuzione dei fotoni originali. Ulteriore vantaggio della fotografia digitale è che il segnale digitale può essere duplicato e quindi memorizzato su un opportuno supporto (come un CD, un DVD o un HD).

L'astrofotografia digitale riassunta in uno schema.