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Alimentatore per telescopi

Nell’articolo “costruire un power box” abbiamo riportato le istruzioni per realizzare un alimentatore 12V portatile per telescopi. In questo articolo affronteremo invece il problema opposto, ovvero come alimentare il nostro telescopio utilizzando la rete elettrica domestica (220V). In astronomia, la maggior parte dei dispositivi alimentati a 12V posseggono una presa di tipo accendisigari. Pertanto, per la realizzazione del nostro “alimentatore” avremo bisogno di prese accendisigari femmina. Nel caso riportato in questo articolo ne abbiamo utilizzate tre: una per collegare la camera di ripresa (reflex o CCD), una per la ruota portafiltri ed una per il flattometro. Le prese accendisigari così come i dispositivi elettronici che collegheremo al nostro alimentatore sono generalmente protetti da fusibili. Al fine però di proteggere qualsiasi tipo di apparecchio collegato al nostro alimentatore prevedremo all’installazione di un ulteriore fusibile per ogni porta accendisigari. Il valore della portata del fusibile dipende da quello che vogliamo collegare al nostro alimentatore. Nel nostro caso la camera CCD (ATIK 383L+) consuma 2.5 A mentre la ruota portafiltri e il flattometro meno di 1 A. Al fine di uniformare le porte accendisigari abbiamo deciso di montare fusibili da 3 A. Questa ovviamente non è la soluzione migliore in quanto la ruota porta filtri e il flattometro risultano non protetti. In compenso uniformando i fusibili possiamo scambiare i dispositivi senza alcun problema. In caso contrario collegando la camera all’accesso della ruota portafiltri andremmo a bruciare il fusibile.

Acquistate le prese accendisigari femmine (possibilmente impermeabili) e i fusibili, abbiamo bisogno di un alimentatore stabilizzato AC-DC capace di erogare corrente a sufficienza per i nostri scopi. Nel caso descritto in questo articolo, la corrente massima richiesta sarà pari a 2.5 A (camera CCD) + 1 A (ruota portafiltri) + 1 A (flattometro) = 4.5 A. Pertanto, abbiamo acquistato un alimentatore stabilizzato capace di erogare in uscita 5 A di corrente continua a 12V (60W). L’alimentatore non è dotato di interruttore che pertanto va acquistato separatamente. Quest’ultimo può essere posto o in ingresso all’alimentatore (quindi un interruttore per corrente alternata a 220V) o in uscita (in questo caso un interruttore per corrente continua a 12V). Noi consigliamo di installarlo in ingresso, possibilmente con un fusibile integrato e spia di accensione.

Disponete porte accendisigari, alimentatore e fusibili in una scatola per impianti elettrici. Nel nostro caso ne abbiamo utilizzata una di dimensioni 20 x 15 x 7.5 cm. Queste scatole sono preferibili rispetto ad altre in quanto ignifughe. Connettete il tutto utilizzando cavi elettrici di sezione adeguata o sovradimensionata, opportunamente isolati (utilizzate guaine termo-restringenti e capicorda). Se necessario utilizzate separatori in plastica, nastro adesivo e colle purché non infiammabili e capaci di sopportare alte temperature (70°C o superiori).

Un difetto delle scatole per impianti elettrici è la loro ermeticità. Pertanto, il calore prodotto dall’alimentatore non fuoriesce dalla scatola con conseguente surriscaldamento. Per ovviare a ciò è necessario realizzare un sistema di ventilazione. Questo può essere realizzato semplicemente forando la scatola con un trapano (raffreddamento statico). Al fine di aumentare la ventilazione abbiamo applicato una ventola alimentata a 12 V a lato della scatola ed un sistema di fori sopra all’alimentatore (raffreddamento dinamico). Per evitare l’ingresso dell’umidità nella scatola, il flusso d’aria deve essere in ingresso dal lato della ventola ed in uscita dal lato dei fori. Infine, per evitare l’ingresso di insetti e/o polvere dai fori abbiamo applicato una rete di protezione all’interno della scatola. Al fine di prevenire il contatto diretto tra le dita dell’utilizzatore e la ventola di raffreddamento consigliamo l’acquisto di una mascherina per ventole.

Figura 1: In figura sono visibili due dei tre accessi a 12V e la ventola di raffreddamento.

Assemblato il tutto avrete realizzato l’alimentare domestico per il vostro telescopio. Se volete, a scapito di un aumento delle dimensioni della scatola è possibile applicare una o più prese per accessori a 220V con cui potrete collegare il PC o il trasformatore della vostra montatura (per questa potete anche prevedere un’uscita apposita a 12V, ricordandovi però di rifare i calcoli per la scelta dell’alimentatore e dei fusibili). Ricordatevi inoltre di connettere i poli positivi e negativi delle porte accendisigari e dell’alimentazione della ventola di raffreddamento alle uscite dell’alimentatore indicate con -V e +V.

Figura 2: la scatola dell'alimentatore aperta. Si vedono i collegamenti tra le porte, i fusibili e l'alimentatore nonché l'interruttore di accensione. A sinistra sono visibili i fori per la ventilazione con la rete protettiva.

Per quel che riguarda l’acquisto del materiale: la scatola, colla, capicorda, fusibili e nastro adesivo sono disponibili in qualsiasi negozio di bricolage (come ad esempio Brico io o Bricoman). La scatola costa sulle 18.00 €. L’alimentatore da 60W si trova su Amazon a 8.38 €. Sempre nel negozio on-line è possibile trovare le prese accendisigaro femmina impermeabile (5.50 €/l’uno), l’interruttore 220V con fusibile di sicurezza e luce di accensione (5.50 €) e la ventola a 12V (4.35 €). Il costo complessivo dell’alimentatore è pari quindi a circa 60 euro.

Figura 3: come appare l’alimentatore una volta assemblato e richiusa la scatola

Come per la realizzazione del Power Box, anche in questo caso ASTROtrezzi non si assume nessuna responsabilità su eventuali danni o mal utilizzo conseguenti alla realizzazione dell’alimentatore qui descritto.




Misurare il cielo

La bellezza suscitata da un’immagine astrofotografica nasconde talvolta una pletora di informazioni scientifiche purtroppo alla mercé dei soli astronomi professionisti. In questo articolo andremo ad analizzare il significato di dimensione angolare degli oggetti celesti ed in particolare vedremo come ottenere questa informazione a partire dalle nostre fotografie amatoriali.

Quando riprendiamo ad esempio una galassia, ci sentiamo spesso dire: “Questa galassia è enorme” oppure “ma che bella galassietta” per indicare una galassia di piccole dimensioni; informazioni soggettive che non ci permettono di effettuare confronti con altre foto scattate da noi stessi o da altri astrofotografi.

Come possiamo fornire una misura oggettiva delle dimensioni di tale galassia?

Iniziamo dal principio, ovvero dalla prima informazione che possiamo ottenere sull’oggetto ripreso: la dimensione in pixel. Questa misura dipenderà sostanzialmente da due fattori: la lunghezza focale del telescopio e le caratteristiche della camera di ripresa. La sola misura in pixel quindi non ci permetterà di avere un confronto diretto tra immagini effettuate in condizioni differenti di ripresa, ma rimane comunque un buon punto di partenza al fine di ottenere una misura oggettiva delle dimensioni del nostro oggetto celeste.

Vediamo quindi come ottenere in pratica tale informazione utilizzando software generici come Photoshop (o simili) o software specifici come PixInsight.

Trovare le dimensioni degli oggetti in pixel

Le dimensioni di un oggetto in pixel possono essere ottenute utilizzando programmi generici di grafica che possiedono la funzione righello, ovvero uno strumento in grado di fornirci in pixel la distanza tra due punti dell’immagine. A titolo di esempio, in Photoshop CS3 è possibile stimare la distanza tra due stelle, cliccando sullo strumento righello (rule) ed andando a disegnare una linea tra i due punti da misurare. La distanza, espressa in pixel sarà riportata in alto, sotto lo spazio dedicato ai menù, nel campo indicato con la lettera L1 (Figura 1).

Figura 1: esempio di misura di dimensioni espresse in pixel

Nell’esempio considerato, la distanza tra le due stelle a lato della galassia M81 è pari a 426.04 pixel. Come dicevamo questa misura dipende ancora da alcuni parametri strumentali come la distanza focale del telescopio e le caratteristiche della camera di ripresa. Infatti la stessa distanza può assumere valori differenti in pixel se il campo fosse stato ripreso con un telescopio più grande o con una camera con dimensioni degli elementi fotosensibili inferiori. Come svincolarci da tutto questo? Bisogna trasformare questa misura in qualcosa di più generale e oggettivo. Per fare ciò andiamo a vedere cos’è una misura angolare.

Misure angolari

Quando guardiamo la volta celeste, stiamo osservando una distribuzione di stelle su una superficie immaginaria che non è “piana” come un foglio di carca ma piuttosto “sferica” come una cupola di una chiesa. Se dobbiamo stimare la distanza tra due punti su un foglio di carta, utilizziamo una misura lineare come può essere una lunghezza espressa in millimetri o centimetri. Quando però la distanza è tra due punti su una sfera, allora si utilizzano quelle che sono le misure angolari ovvero si va a misurare l’angolo compreso tra i due punti in esame. Questo in passato veniva misurato con “goniometri specifici” che potete trovare ancora in alcuni osservatori astronomici. Oggi usiamo appunto le fotografie digitali. L’unità di misura dell’angolo è il grado. Dato che le distanze angolari astronomiche sono spesso molto piccole si è deciso di utilizzare anche i sottomultipli del grado ossia il minuto ed il secondo. Per distinguerli dai minuti e secondi temporali (i sottomultipli dell’ora), si parla spesso di minuti d’arco o arcmin e secondi d’arco o arcsec. Supponiamo ora di avere due stelle separate da un secondo d’arco. Queste due stelle verranno focalizzate dal nostro telescopio sul sensore della nostra fotocamera digitale (reflex o CCD). Quest’ultimo può essere considerato piano e pertanto dotato di dimensioni lineari espresse in millimetri o in unità di elementi fotosensibili ovvero in pixel. A che distanza lineare sul sensore espressa in pixel corrisponderà la distanza angolare celeste di un secondo d’arco? Per rispondere a questo dobbiamo percorrere la strada che ha portato quei raggi dal Cosmo al nostro sensore.

Dal Cosmo al pixel

Per semplicità, consideriamo un telescopio rifrattore costituito da una sola lente biconvessa in grado di focalizzare la luce ad una distanza (lunghezza) focale F. Lo stesso discorso si può estendere a qualsiasi schema ottico. Supponiamo ora che ad una certa distanza “prospettica” dal telescopio ci siano due stelle separate tra loro da un angolo θ. Da un punto di vista geometrico, il nostro telescopio genererà sul sensore l’immagine delle due stelle separate da una distanza lineare d (vedi Figura 2).

Figura 2: Relazione geometrica tra l’angolo θ e la distanza d.

Dal punto di vista matematico possiamo trovare una relazione geometrica tra θ e d ed in particolare:

risolvendo rispetto a d otteniamo:

La distanza d dovrà essere espressa nelle stesse unità di misura della lunghezza focale F e quindi in mm. Se ora vogliamo convertire d da mm in pixel dobbiamo dividere per la dimensione di un elemento fotosensibile espresso anch’esso in mm. Nel caso della foto di Figura 1, la camera di ripresa era una ATIK 383L+ monocromatica con elementi fotosensibili quadrati delle dimensioni di 5.4 micron ossia 5.4 x 10-3 mm. Quindi detta l la dimensione in mm di un elemento fotosensibile (pixel) abbiamo:

Prima di procedere con il calcolo notiamo che l’angolo θ deve essere espresso in radianti. Questa strana unità di misura può essere convertita in gradi utilizzando la seguente equivalenza:

E ricordando che 1° sono 3600 secondi d’arco otteniamo:

Sostituendo quindi l’espressione di θ in quella per il calcolo di d in pixel abbiamo:

Quindi nelle condizioni di ripresa di Figura 1 con lunghezza focale del telescopio pari a F = 750 mm avremo che un secondo d’arco corrisponderà ad una distanza lineare espressa in pixel di:

Quindi il fattore di scala r della nostra immagine astrofotografica sarà 1 arcsec / 0.67 pixel ossia:

che nel caso in esame è 1.49 arcsec/pixel. Questo fattore di scala è importantissimo perché ci permette di stimare le dimensioni dei nostri oggetti in secondi d’arco data la loro estensione misurata in pixel. Proviamo ora a verificare che quanto appena detto sia corretto utilizzando due tecniche differenti: la prima prevede l’utilizzo di Stellarium mentre la seconda di PixInsight.

Stellarium

Stellarium è un planetario gratuito completo di importanti funzioni tra cui la misura angolare delle distanze. Quindi date due stelle possiamo misurarne con Stellarium la loro distanza angolare. Quindi, assumendo di aver fotografato una galassia, possiamo utilizzare le stelle di campo per determinare il fattore di scala r e quindi successivamente la dimensione angolare della galassia data la sua lunghezza espressa in pixel. Per fare ciò apriamo il software Stellarium e apriamo la “Finestra di configurazione” cliccando sull’icona della chiave nel menù di sinistra. Andiamo quindi sul tab “Plugins” e quindi scegliamo “Misura angolo”. Spuntiamo il quadratino “Carica all’avvio” e riavviamo il programma (vedi Figura 3).

Figura 3: la finestra di configurazione di Stellarium

Una volta riavviato il programma, ci troveremo una icona a forma di “angolo sotteso” nel menù in basso. Clicchiamoci sopra e disegniamo una retta sul campo stellare. Il programma disegnerà una linea continua indicando la misura angolare espressa in gradi, primi e secondi. Nel caso delle due stelle in esame di Figura 1 otteniamo 10 arcmin 36.94 arcsec, come mostrato in Figura 4.

Figura 4: La distanza angolare tra le stelle di Figura 1

Se vogliamo esprimere tutto in secondi d’arco dobbiamo ricordare che 1 arcmin = 60 arcsec e 1° = 3600 arcsec, quindi la distanza tra le due stelle risulterà essere 636.94 arcsec. Se ora dividiamo questo numero per la misura effettuata precedentemente sulla nostra foto in pixel, ossia 426.04 pixel abbiamo un fattore di scala r pari a 1.49 arcsec/pixel, in perfetto accordo con quanto calcolato precedentemente per via teorica. Ovviamente si può raffinare il calcolo facendo più misure utilizzando le stelle di campo presenti nel fotogramma. Ciascuna misura dovrà poi essere raffigurata in un grafico θ(arcsec) in funzione di d(pixel). Il coefficiente angolare della retta, imposto il passaggio per lo zero, sarà il fattore di scala r.

 

PixInsight

PixInsight è un software specifico per l’elaborazione di immagini astronomiche. Grazie alla professionalità del team di sviluppatori, oggi è possibile usare PixInsight non solo come strumento “estetico” ma anche scientifico grazie ad un suo script noto come ImageSolver. Prima di tutto è quindi necessario accedere a PixInsight ed aprire un’immagine astronomica sia essa un singolo frame o una somma di più immagini opportunamente calibrate. Dopodiché apriamo ImageSolver andando sul menù Script → ImageAnalysis →ImageSolver. Si aprirà una finestra intitolata Image Plate Solver Script (vedi figura 5).

Figura 5 : la finestra dello script Image Plate Solver

 A questo punto dovrete inserire delle informazioni chiave: le coordinate del vostro oggetto (meglio del centro del fotogramma) spuntando la casella S se le coordinate di declinazione sono negative, l’epoca di riferimento delle coordinate (2000 o attuali), la lunghezza focale del vostro telescopio espressa in mm (spuntate il pallino relativo) e la dimensione dei pixel della vostra camera di ripresa in micron. Successivamente nella sezione “Model Parameters” spuntate “VizieR star catalog:” e dal menù a tendina selezionate (preferibilmente) UCAC3 ed il server francese CDS . Come “Limit magnitude” imponiamo il valore 17. Trascuriamo completamente la sezione “Advanced parameters” lasciando le impostazioni preimpostate. Se non conoscete le coordinate dell’oggetto ripreso potete cliccare sull’icona che rappresenta una lente di ingrandimento. Si aprirà una nuova finestra dal titolo Online Coodinates Search (Figura 6).

Figura 6: lo strumento Online Coordinates Search

A questo punto inserite nel campo “Object identifier” il nome dell’oggetto che avete ripreso e come server utilizzare (preferibilmente) il francese CDS. Cliccando sulla lente di ingrandimento nel campo “Names” ritroverete il vostro oggetto e le sigle ad esso associate. Clicchiamo sul nome e quindi premiamo il tasto OK. Le coordinate dell’oggetto, come per magia appariranno nella sezione “Image parameters” della finestra Image Plate Solver Script. Clicchiamo quindi su OK e aspettiamo che PixInsight faccia il suo lavoro. Al termine di una serie di calcoli, nella “Process Console” troveremo direttamente il nostro fattore di scala espresso in arcosecondi per pixel (Figura 7).

Figura 7: il risultato ottenuto utilizzando PixInsight e lo script ImageSolver

Utilizzando PixInsight otteniamo pertanto un fattore di scala r pari a 1.47 arcsec/pixel, in buon accordo con quanto calcolato precedentemente per via teorica e misurato utilizzando la combinazione di software Photoshop CS3 + Stellarium. La discrepanza di circa l’1% tra il valore teorico e quello fornito da PixInsight può essere dovuto alla non planarità del piano focale (coma) che farà assumere valori diversi di r a seconda della posizione nel fotogramma.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo mosso i primi passi verso la “misura del Cosmo”. In particolare abbiamo imparato a calcolare e/o misurare il fattore di scala r ossia il legame tra la misura lineare espressa in pixel di un oggetto o di una distanza e la misura angolare espresse in secondi d’arco. In questo modo potremo fornire delle misure oggettive delle dimensioni degli oggetti ripresi, fare confronti con altre immagini riprese da noi o da altri astrofotografi nonché misurare lo spostamento di un oggetto celeste come comete e asteroidi. Un primo passo verso l’astrometria amatoriale.




Costruire un Power Box

L’astrofotografia moderna ci ha imposto una serie di strumenti altamente tecnologici e completamente automatizzati i quali però prevedono l’utilizzo di alimentazione elettrica esterna. In particolare, considerando un setup amatoriale di base, in termini di consumi abbiamo: computer portatile (2-5 A a seconda del modello: netbook o laptop), montatura equatoriale (1-2 A ad esempio per una SkyWatcher NEQ6), camera CCD (2 A ad esempio per una ATIK 383L+) , camera di guida (0.5 A circa) per non parlare di eventuali fasce anticondensa, focheggiatori automatici, ruota portafiltri e molto altro. Sommando ciascun termine si ottiene un valore di circa 5-8 A complessivi. Il mercato astronomico ci offre batterie (battery tank) di dimensioni variabili tra 7 e 17 Ah. Questo significa che a setup completo abbiamo un’autonomia di circa 1-2 ore. Considerando le lunghe e fredde notti d’inverno, rischiamo di rimanere senza corrente elettrica già prima di iniziare la sessione astrofotografica. Proprio per questo può essere utile autocostruirsi un alimentatore ad hoc con batterie di capacità superiore. In questo articolo vedremo come realizzarne una in grado di soddisfare tutte le nostre necessità. ASTROtrezzi non si assume nessuna responsabilità su eventuali danni o mal utilizzo conseguenti alla realizzazione dell’alimentatore qui descritto. Iniziamo con il dire che tutto quello che abbiamo bisogno è: una o più (nel modello qui descritto ne abbiamo utilizzate due da 50 Ah) batterie al piombo chiuse per automobili con capacità variabile tra 40 e 100 Ah. Una cassetta degli attrezzi in grado di sopportare il peso della/delle batteria/e. Noi ne abbiamo utilizzata una della Stanley, leggera e resistente. Dei cavi elettrici con spessore sufficiente per supportare la potenza di utilizzo e quella di ricarica della batteria. Una serie di porte accendisigari con corrispettivi fusibili con capacità adatta agli strumenti utilizzati (nel nostro caso abbiamo utilizzato fusibili da 5A). Uno stringicavo per idraulica (quello per vincolare la canna per giardini ai rubinetti) in metallo. Ovviamente avrete bisogno anche degli strumenti base per lavorare, ovvero: forbici, nastro adesivo per elettricisti, saldatore e stagno, tester, trapano (meglio se a colonna) ed infine cacciaviti, brugole e strumentame vario.

Iniziamo pertanto con il forare la nostra cassetta degli attrezzi in modo da poter fissare le porte accendisigaro come riportato in figura 1.

Figura 1: la posizione delle porte accendisigaro sulla cassetta degli attrezzi

 Una volta forata, ripulite la bava e fissate le porte accendisigari. Il numero di tali porte dipenderà dalle vostre necessità e dalla disponibilità di spazio. Nel nostro caso è stato necessario forare anche il vano portaoggetti in modo che ci sia la possibilità di far passare i cavi fino a raggiungere la batteria/ le batterie che si troveranno nel vano principale della cassetta degli attrezzi (vedi figura 2).

Figura 2: a sinistra l’installazione delle porte accendisigaro, a destra i fori passanti che permettono di collegare le porte alla batteria

Ora si può cominciare a saldare i cavi. Consiglio vivamente, per questione di ordine e sicurezza, di utilizzare due colori diversi per il polo positivo e negativo. Saldate i cavi relativi al polo positivo della batteria sul connettore della porta accendisigari con indicato il simbolo (+) e quelli relativi al polo negativo sull’altro connettore. In una posizione comoda del cavo relativo al polo positivo saldate il porta-fusibile. In ogni caso, consiglio invece della saldatura, l’utilizzo di comodi mammut. Inserire quindi il fusibile nel relativo porta-fusibile dopo averne verificato il funzionamento. Lasciate una porta accendisigari priva di fusibile. Questa vi servirà per caricare la batteria con caricabatterie esterne (utilizzate pure porte alternative all’accendisigari in funzione del cavo di ingresso dal caricabatterie). Il valore di corrente del fusibile deve essere scelto in funzione del carico che volete applicare. Nel nostro caso sono stati utilizzati fusibili da 10A. Un’immagine del sistema di connessioni è riportato in figura 3.

Figura 3: il sistema di cablaggio delle porte accendisigari con innesto degli opportuni fusibili.

A questo punto non vi resta che collegare tutti i cavi a polarità positiva al polo dello stesso segno della batteria (di solito coperto con un tappo, ricordate di rimuoverlo) e lo stesso con i cavi a polarità negativa. Ricordate prima di connettere il tutto di verificare con un tester che non vi siano dei corti circuito. Un corto con batterie di alta potenza potrebbero portare a scariche elettriche molto pericolose. Inoltre non toccate mai entrambe i poli della/e batteria/e al fine di evitare scariche elettriche anche mortali. Il sistema di connessioni alla batteria (nel caso in esame due batterie da 50Ah) è riportato in figura 4. Al fine di fissare i contatti con i poli della batteria consigliamo di utilizzare degli stringitubo idraulici in metallo.

Figura 4: connessioni con la/le batteria/e. Ricordatevi di fissare le batterie nella cassetta degli attrezzi.

Non ci resta quindi che chiudere la cassetta degli attrezzi assicurandone bene il serraggio (eventualmente fissando il tutto con viti passanti) e mettere il tutto sotto carica (Figura 5). Grazie a questo sistema ora avrete un’autonomia di parecchie ore da sfruttare nelle lunghe e fredde notti invernali: buon divertimento!

Figura 5: il power box completo.