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DMSP F-18 – 18/10/2009

Varenna (LC), 18/10/2009 – Rocket Fuel Dump

L’immagine riprende un satellite militare meteorologico statunitense (DMSP F-18) ed il suo rocket (ovvero il lanciatore che permette di mandare i satelliti in orbita). Purtroppo il carburante presente nel rocket era eccessivo ed è quindi stato rilasciato nello spazio lasciando dietro a ciascuno dei due corpi una scia simile alla coda di una cometa. Inoltre il rilascio del carburante ha generato un anello grande quasi quanto metà volta celeste. Questo anello modificava la sua forma muovendosi nel cielo. Il fenomeno, molto raro, è stato osservato dall’Europa e fotografato da poche persone. Questa immagine è così stata pubblicata sul sito spaceweather.com (NASA) ed in molti altri siti internet internazionali. La stressa immagine è stata pubblicata anche sulla rivista italiana di astronomia amatoriale Coelum. Riportiamo di seguito la descrizione data a suo tempo:

“I was coming back by car from the usually Sunday trip when something like a bright comet appeared in the night sky. So, I stopped the car and took some photos of the strange phenomenon (photos were taken by hand without any tripod). The bright object was anticipated by a bright star with a tail. It was surrounded by a circular halo, that became an ellipse when it came close to the horizon. Canon EOS 40D, 23 sec. 3200 ISO (Ob. 18 mm, f/6.3)”

Rocket Fuel Dump - 18/10/2009 . Clicca qui per visualizzare l'immagine su spacewather.com




M31 (NGC 224) – 24/11/2009

Sormano (CO), 24/11/2009 – M31

Singola posa effettuata con Canon EOS 40D + obiettivo Tamron CF 80-210 mm f/4.0 adaptall 2 utilizzato a 210 mm (adattatore Tamron-Canon fornito dalla ditta Coma). Tempo di esposizione 90 secondi a 3200 ISO. Posa non inseguita su montatura SkyWatcher EQ3.2.

 

 

M31 (NGC 224) - 24/11/2009




Orione – 24/11/2009

Sormano (CO), 24/11/2009 – Costellazione di Orione

Scatto singolo effettuato con Canon EOS 40D + Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 55 mm f/5.6. Tempo di esposizione 183 secondi a 800 ISO. Immagine non inseguita su montatura SkyWatcher EQ3.2

 

 

Orione - 24/11/2009




Cancro – 05/04/2010

Sormano (CO), 05/04/2010 – Costellazione del Cancro

Somma di 11 immagini da 50 secondi 1000 ISO + 40 bias + 19 dark + 30 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2.

Obiettivo di ripresa: Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 35 mm f/5.6 + Camera Canon EOS 40D. Ripresa non inseguita su montatura EQ 3.2

 

Cancro - 05/04/2010 . Nell'immagine è visibile anche il pianeta Marte




M44 (NGC 2632) – 31/03/2010

Briosco (MB), 31/03/2010 – M44 & Marte

31 Marzo 2010, 22.26 – 22.34 U.T.
Somma di 12 pose da 30 seconda a 1000 ISO elaborate con 40 offset/bias, 22 dark e 51 flat; effettuata con IRIS e Photoshop CS4. Camera Canon EOS 40D con zoom Canon EF 70 – 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 100 mm chiuso a f/5.6.

 

M44 (NGC 2632) - 31/03/2010




4 Vesta – 05/04/2010

Sormano (CO), 05/04/2010 – 4 Vesta

Somma di 3 pose a tempi di esposizione ed ISO differenti, elaborate con 40 offset/bias, 19 dark e 41 flat; effettuata con IRIS e Photoshop CS4. Camera Canon EOS 40D con zoom Canon EF 70 – 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 100 mm chiuso a f/5.6.

 

 

4 Vesta - 05/04/2010

Riportiamo un video che mostra il moto di 4 Vesta rispetto all’immagine ripresa il giorno 31/03/2010 da Briosco.

Il moto dell'asteroide 4 Vesta rispetto alle stelle fisse. Cliccare sull'immagine per far partire l'animazione.




4 Vesta – 31/03/2010

Briosco (MB), 31/03/2010 – 4 Vesta

Somma di 24 pose da 30 seconda a 1000 ISO elaborate con 40 offset/bias, 22 dark e 51 flat; effettuata con IRIS e Photoshop CS4. Camera Canon EOS 40D con zoom Canon EF 70 – 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 100 mm chiuso a f/5.6.

 

 

4 Vesta - 31/03/2010

Riportiamo anche l’immagine in cui viene indicata la posizione dell’asteroide 4 Vesta rispetto alle stelle fisse.

La posizione dell'asteroide 4 Vesta rispetto alle stelle fisse




103P/Hartley – 12/10/2010

Briosco (MB), 12/10/2010 -103P/Hartley

Ripresa della cometa 103/P Hartley 2 effettuata con Canon EOS 40D + filtro UHC. Somma di 15 light frame da 2 minuti di esposizione (totale 30 minuti di posa) a 800 ISO, obiettivo zoom Canon EF 70-300 mm a 70 mm f/4. Montatura EQ 3.2 Skywatcher. Riprese non guidate. Calibrazione effettuata con 21 flat, 15 dark, 20 bias. Elaborazione IRIS + Photoshop CS4.
Scala di Bortle 7 (Magnitudine limite visuale 3.00-3.15). Magnitudine limite raggiunta nella foto 12.70.

103P/Hartley - 12/10/2010




81P/Wild – 05/04/2010

Sormano (CO), 05/04/2010 – 81P/Wild

Riportiamo di seguito una ripresa della cometa 81P/Wild effettuata nel 2010 con camera Canon EOS 40D + obiettivo Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 55mm f/5.6. Riportiamo sia l’immagine integrale, somma di alcune immagini a ISO e tempi di esposizione diversi, che un crop della cometa. L’immagine è stata inseguita manualmente con rifrattore acromatico SkyWatcher 70mm f/7 e montatura EQ3.2

 

81P/Wild - 05/04/2010

Crop dell'immagine precedente al fine di evidenziare la posizione della cometa 81/Wild nota anche come Wild2




Il Dark Frame

Nell’articolo “Il Bias Frame” abbiamo visto come un sensore a semiconduttore (CCD e CMOS) risponde al buio, ovvero alla totale assenza di fotoni. Abbiamo così imparato che in questo caso, il livello di luminosità di un pixel è dato dai seguenti contributi:

Livello di luminosità = valore teorico + offset + rumore termico + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale

Il Bias Frame è definito come “scatto veloce” con tempo di esposizione paragonabile a zero e pertanto con rumore termico nullo. Cosa succede se ora invece di effettuare uno “scatto veloce” al buio ne effettuiamo uno lento? In questo caso gli elettroni di origine termica, emessi in modo continuo dall’elemento a semiconduttore, andrebbero a sommarsi durante il tempo di esposizione producendo un rumore in un certo senso “proporzionale” al tempo di esposizione. Dal punto di vista teorico questo andrà a costituire una coda ad alti valori di livelli di luminosità. Per sensori di tipo CCD il gioco finisce qui, mentre la faccenda si complica nel caso di CMOS dove la temperatura del sensore non è generalmente controllata (se non nei casi delle DSLR CentralDS). Infatti, con l’aumentare del tempo di esposizione, e posa dopo posa, la temperatura del sensore CMOS varia così come l’emissione di elettroni termici in ciascun elemento fotosensibile. Il risultato complessivo è che ciascuna posa di buio risulta lievemente diversa. A questa variazione della temperatura dell’elemento a semiconduttore bisogna aggiungere anche la possibilità che la temperatura ambiente cambi durante la notte.

Indichiamo quindi con il termine rumore termico l’aumento del livello di luminosità associato all’emissione di elettroni termici, sia questa costante nel caso di sensori a temperatura controllata o variabile nel caso di DSLR tradizionali o raffreddate esternamente.

IL DARK FRAME

Il discorso fatto per in precedenza è riferito ad un solo elemento a semiconduttore: può essere esteso a tutta la matrice di fotoelementi che costituiscono il sensore? In linea generale si, ma dato che l’emissione termica (così come il bias) è diversa per ogni elemento a semiconduttore, il valore di luminosità di buio sarà differente da pixel a pixel. Data un’immagine di buio è quindi necessario sapere quale è il valore dell’offset, l’eventuale rumore elettronico non casuale ed il rumore termico di ciascun pixel, in modo che se sottratto all’immagine “lenta di buio” si otterrà una matrice di pixel con livello di luminosità pari a 0 ADU. Solo in questo modo se durante la ripresa di un oggetto celeste non arriveranno fotoni sull’elemento fotosensibile corrisponderà ad una luminosità pari a 0 ADU.

Prendiamo pertanto la nostra macchina fotografica digitale (DSLR) o la nostra camera CCD astronomica e poniamo il tappo di fronte all’ottica al fine di non far arrivare fotoni sul sensore ricreando pertanto la condizione di buio. Settiamo il tempo di esposizione della nostra DSLR o camera CCD astronomica pari a quello che verrà utilizzato per la ripresa dell’oggetto celeste (vedi il post “Il Light Frame”). Ricordiamo che per le reflex dobbiamo impostare anche gli stessi ISO utilizzati per riprendere la nostra immagine astronomica al fine di porsi nelle stesse condizioni di scatto (la catena elettronica funziona in modo diverso a seconda degli ISO impostati). Per lo stesso motivo anche il binning della nostra camera CCD non dovrà essere modificato. Con questi settaggi si riprendano un certo numero di immagini noti come dark frame.

Per calibrare un’immagine astronomica in modo che un pixel assuma un livello di luminosità pari a 0 ADU è necessario sottrarre all’immagine stessa l’offset, i rumori elettronici non casuali e il rumore termico. Questo può essere effettuato facilmente dato che tutte queste informazioni sono contenute nel dark frame. In particolare definito master dark frame la media dei singoli dark frame, il livello di luminosità di ciascun pixel dell’immagine astronomica calibrata sarà:

Livello di Luminosità = valore assunto dal pixel – master dark frame

Ecco quindi che se effettuiamo una ripresa della galassia di Andromeda e abbiamo un pixel che non viene raggiunto da nessun fotone (ad esempio un pixel del fondo cielo), allora questo assumerà un livello di luminosità pari, per quanto detto prima:

Livello di luminosità = valore teorico + rumore elettronico casuale + master dark

Ecco quindi che se all’immagine della galassia di Andromeda sottraiamo il master dark frame, otteniamo che il pixel privo di fotoni avrà un livello di luminosità pari a:

Livello di luminosità = valore teorico + rumore elettronico casuale

Dove il rumore elettronico casuale diviene prossimo a zero mediando un certo numero N di immagini riprese nelle stesse condizioni di scatto ovvero

Livello di luminosità [mediato su N scatti] = valore teorico

Scattare un dark frame però richiede molto tempo ed ottenere una statistica molto elevata può risultare complicata. Infatti ricordiamo che i dark frame vanno ripresi nelle stesse condizioni di scatto dell’immagine astronomica. Durante la nostra sessione astrofotografica dobbiamo quindi, in caso di fotocamere digitale prive di controllo della temperatura del sensore, prevedere di lasciare del tempo per acquisire un certo numero minimo di dark frame. Purtroppo nel tempo impiegato per riprendere un dark frame otteniamo più di 100 bias frame. Quindi malgrado non contenga informazioni sul rumore termico, il (master) bias frame è in grado di stimare con precisione statistica superiore il valore dell’offset e di eventuali rumori elettronici non casuali presenti nella ripresa rispetto al (master) dark frame. Diviene pertanto conveniente separare i due contributi e quindi creare un master dark che contiene il solo rumore termico medio ed un master bias che contiene informazioni sull’offset e sul rumore elettronico non casuale. Quindi ricordando che nel dark, il valore di luminosità di ciascun pixel è pari a

Livello di luminosità = master bias + rumore termico + rumore elettronico casuale = dark

Allora possiamo identificare la sola componente di rumore termico medio come:

rumore termico + rumore elettronico casuale = dark – master bias

e quindi successivamente mediando su un numero N  di scatti è possibile ridurre a zero il rumore elettronico casuale ottenendo il rumore termico medio.

Riassumendo, per calibrare correttamente le nostre immagini astronomiche sfruttando al meglio le informazioni che possiamo ricavare dal master bias frame, descritto nel post “Il Bias Frame”, e dai dark frame dobbiamo calcolare il rumore termico medio che con abuso di notazione viene anche chiamato master dark frame (creando ovviamente confusione):

rumore termico medio = MEDIA (dark frame – master bias frame) = master dark frame

e questo contiene tutte le informazioni sull’emissione termica di elettroni da parte di ciascun fotoelemento del sensore a semiconduttore. Il master bias frame conterrà invece tutte le informazioni relative all’offset e ai rumori elettronici di natura non casuale. Ecco quindi che in un’immagine di buio, ciascun pixel assumerà il seguente livello di luminosità:

Livello di luminosità [mediato su N scatti] = master bias frame + master dark frame

PIXEL CALDI E PIXEL FREDDI

Sino ad ora abbiamo parlato del rumore intrinseco che ciascun elemento a semiconduttore possiede. Esiste però la possibilità che alcuni pixel funzionino in maniera del tutto anomala rispetto agli altri. In particolare la maggior parte di questi posseggono un comportamento quantizzato, ovvero o rimangono sempre ad un livello di saturazione o rimangono completamente spenti. Nel primo caso si parla di pixel caldi mentre nel secondo caso di pixel freddi. Pixel caldi e freddi vanno “sottratti” da ciascuna immagine astronomica dato che introducono un segnale “fittizio”. In questo caso più che sottrazione si dovrebbe parlare di sostituzione. Infatti il livello di luminosità dei pixel caldi e freddi viene sostituito con il valore 0 ADU che è quello che dovrebbe assumere, dopo la calibrazione, un pixel che non riceve radiazione luminosa. Dato che i pixel freddi hanno livello di luminosità pari a 0 ADU, è praticamente inutile una loro identificazione, visto che la sostituzione non avrebbe nessun effetto. Ecco pertanto che la maggior parte dei software astronomici specializzati nell’elaborazione delle immagini prevedono una funzione di ricerca e quindi sostituzione, dei soli pixel caldi.

Esistono ora dei pixel che funzionano in modo anomalo ma non sono pixel caldi e freddi? Purtroppo si. Generalmente non sono molti e vengono identificati (e quindi eliminati) dai software astronomici come pixel caldi. Questi pixel noti come “pixel riscaldati” (warm pixel) sono pixel che generano un rumore termico con un tasso superiore rispetto a quelli tradizionali portandoli, in tempi di esposizione sufficientemente lunghi o a seguito di un aumento della temperatura del sensore, a saturazione.

Uno studio dei pixel riscaldati è progetto di ricerca per ASTROtrezzi.it. Chi fosse interessato è pregato di inviare un e-mail all’indirizzo ricerca@astrotrezzi.it   

Riportiamo di seguito lo studio del dark frame per una ATIK 314L+ B/W (sensore CCD) e per una Canon EOS 40D (sensore CMOS).

ATIK 314L+ B/W

Cominciamo con il dire che la CCD ATIK 314L+ B/W è una camera astronomica raffreddata da cella di Peltier a temperatura controllata. Questo significa che durante gli scatti la temperatura del sensore viene mantenuta costante da un sistema di controllo elettronico. Questo fatto è dimostrato riprendendo un certo numero di dark frame e confrontati. Il confronto è illustrato in Figura 1 e mostra come la distribuzione dei livelli di luminosità non vari da una posa ad un’altra.

Figura 1: Confronto tra quattro dark frame ripresi in successione uno dopo l’altro. Come si vede le distribuzioni sono identiche indice di una temperatura costante del sensore durante la ripresa

Data l’ampia dinamica e la ridotta corrente di lettura, una CCD è maggiormente sensibile alla corrente di buio o meglio al rumore termico. In particolare dato che la quantità di ADU indotti dal rumore termico aumenta all’aumentare del tempi di esposizione, quello che succede è una traslazione netta dell’offset all’aumentare del tempo di esposizione. Ecco quindi che in maniera più marcata rispetto ai sensori CMOS abbiamo uno spostamento dell’offset a causa dell’aumento del rumore termico integrato. Questo è visibile in Figura 2 dove si vede la differenza tra il bias frame ed un dark frame da 1000 secondi (quindi un periodo di integrazione, tempo di esposizione, un milione di volte più lungo).

Figura 2: Confronto tra bias e dark frame. Lo spostamento dell’offset è dovuto sostanzialmente al tempo di integrazione del rumore termico.

La sensibilità dei CCD al rumore termico o se vogliamo l’aumento della dinamica di questi tipi di sensori rispetto ai CMOS si riflette in una “non ottimale” sottrazione del master bias frame dai dark. In particolare dato che l’offset del bias è diverso da quello del dark, La sottrazione produce una curva che non risulta centrata a zero ADU come dovrebbe ma ha un massimo leggermente spostato (vedi Figura 8). In ogni caso, un eventuale stretching dell’istogramma permetterebbe di sistemare il tutto ottenendo quanto atteso teoricamente. Un esempio di rumore termico (master dark frame) effettuata su una singola posa è visibile in Figura 3.

Figura 3: esempio di master dark frame acquisito con una CCD astronomica modello ATIK 314L+ B/W. Si noti la distribuzione uniforme del segnale termico.

CANON EOS 40D

In questo post ci concentreremo principalmente sui sensori CMOS, dato che escludendo i modelli CentralDS, in tutti gli altri casi risultano privi di sistemi di controllo della temperatura (tra cui la Canon EOS 40D in esame). Questo rende complessa la descrizione del dark frame nel caso di reflex digitali. In primo luogo un rivelatore a semiconduttore, se non raffreddato, varia la sua temperatura durante la fase di funzionamento. Dato che gli scatti, siano essi immagini astronomiche o dark frame, avvengono in successione, quello che succede è che la temperatura dell’elemento fotosensibile va via via aumentando così come il rumore termico da essa indotto. L’effetto globale è quello della formazioni di code ad alti (e bassi) valori di ADU come visibile in Figura 4. Malgrado questo, gran parte dei pixel si comportano correttamente mantenendo costante la quantità di rumore termico ed aumentandone soltanto le fluttuazioni statistiche. Questo è visibile in Figura 5.

Figura 4: variazione della distribuzione dei livelli di luminosità del dark frame in funzione del numero di scatti successivi ossia della temperatura del sensore

Figura 5: malgrado l’aumento della larghezza dell’offset, la maggior parte dei singoli pixel si comportano correttamente mantenendo costante il suo valore.

Se però ora calcoliamo la quantità di ADU complessivi dell’immagine e la dividiamo per il numero di pixel del sensore, otteniamo quello che potremmo chiamare livello di luminosità media per pixel. In altre parole quello che andiamo a misurare è la quantità di ADU che mediamente possiede ciascun pixel, ovvero un’approssimazione dell’offset. Se il rumore indotto dai singoli fotoelementi fosse costante, allora il livello di luminosità medio per pixel non dovrebbe variare da scatto a scatto. L’aumento di temperatura invece provoca un aumento del rumore termico che si traduce quindi in un aumento del livello di luminosità medio per pixel. L’andamento per una successione di 8 dark frame da 7 minuti a 800 ISO, ripresi in successione uno dopo l’altro, è illustrato in figura 6. Come si vede, dopo un gradiente iniziale dovuto al riscaldamento “veloce” del sensore, successivamente l’aumento del livello di luminosità media in funzione della temperatura è lineare (con coefficiente di correlazione pari a 0.97) pari a 2.6821 ADU/°C.

Figura 6: aumento del livello di luminosità media per pixel in funzione della temperatura del sensore per dark frame da 7 minuti a 800 ISO acquisiti in rapida successione.

La figura 6 dovrebbe farci riflettere sul fatto che quando riprendiamo delle immagini astronomiche con una reflex digitale, il rumore termico ad essa associato non è costante e varia da posa a posa. Cosa possiamo fare? Purtroppo poco. L’unica possibilità è lasciare un periodo di tempo tra una posa e la seguente in modo da permettere al sensore di raffreddarsi. Ricordiamo comunque che il livello di luminosità media per pixel è variata in 8 dark da 7 minuti di “soli” 43 ADU su un valore medio inziale pari a 1044 ADU. L’errore che quindi commettiamo nel non considerare il riscaldamento del sensore a seguito del suo funzionamento è esiguo e mediamente inferiore al 5%. Gran parte del “rumore termico” è poi contenuto in quelli che abbiamo chiamati pixel caldi e riscaldati. Una sottrazione e correzione di questi pixel porterebbe ad un significativo miglioramento della qualità del master dark frame.

Un altro effetto è la dipendenza del rumore termico dal tempo di esposizione. Infatti all’aumentare del tempo di posta aumenta la quantità di rumore termico integrato. Il processo è lineare per tempi di esposizione sufficientemente lunghi come mostrato in figura 7. In particolare in grande è riportata la variazione del livello di luminosità medio per pixel in funzione del tempo di esposizione, mentre nel riquadro piccolo il livello di luminosità medio per pixel sempre in funzione del tempo di esposizione.

A 800 ISO, abbiamo dopo 150 secondi di posa, un incremento di rumore termico lineare (coefficiente di correlazione lineare 0.99) pari a 0.1421 ADU/secondo.

Figura 7: variazione del livello di luminosità media per pixel in funzione del tempo di esposizione. Nel riquadro a lato livello di luminosità media per pixel in funzione del tempo di esposizione. Tutti i dark frame sono stati ripresi a 800 ISO.

La quantità di rumore termico che introduciamo aumenta quindi linearmente con il tempo di esposizione andando a deteriorare l’informazione contenuta nell’elemento fotosensibile. Ma quanto contribuisce questo rumore rispetto all’offset? Abbiamo visto in precedenza come un aumento della temperatura del sensore introduce una variazione del livello di luminosità media per pixel inferiore al 5%. In questo caso per tempi di esposizione pari a 7 minuti a 800 ISO abbiamo che la variazione di ADU rispetto al bias frame è pari a 42 ADU e quindi inferiore persino a quello che si ottiene a seguito del riscaldamento del sensore.

In ogni caso questo valore rimane costante da posa a posa se la temperatura del sensore rimanesse costante (cosa che invece abbiamo visto non accadere). 42 ADU è quindi il vero contributo di rumore medio contenuto in ciascun pixel alimentato per 7 minuti a 800 ISO in condizioni di buio ad una determinata temperatura T. Quindi se i 43 ADU dovuti alla variazione di temperatura del sensore erano una sorgente di errore nel processo di “costruzione” del master dark frame, questi 42 ADU costituiscono il rumore termico medio costante intrinseco della fotocamera e quindi facilmente correggibile attraverso il processo di sottrazione del master dark frame (rumore termico medio).

La variazione dell’offset del dark frame rispetto all’offset bias frame nel caso di CMOS varia quindi dal 5% nel caso di fotocamera “fredda” al 10% nel caso di fotocamera riscaldata. Tale discrepanza è comunque trascurabile e fa si che i due offset siano praticamente coincidenti traducendosi in un valore di livello di luminosità del master dark frame o del rumore termico medio pari a 0 ADU come correttamente atteso. Quindi nei sensori CMOS non siamo di fronte a quel offset fittizio descritto in precedenza nei sensori CCD e visibile in Figura 8.

Figura 8: distribuzione dei livelli di luminosità del master dark frame (rumore termico medio) nel caso di sensori CCD e CMOS. Si vede come nel caso dei sensori CMOS il segnale sia soltanto di natura termica (coda esponenziale) mentre nei sensori CCD si osserva la presenza di un finto offset a seguito della maggiore dinamica e quindi sensibilità allo spostamento dell’offset a seguito dell’integrazione del rumore termico.

Ricordiamo ancora una volta come la maggior parte del rumore termico venga immagazzinato nei pixel riscaldati che quindi giocano un ruolo importante nei sensori a semiconduttori. Riportiamo infine un’immagine del master dark frame nel caso di un sensore CMOS Canon EOS 40D.

Figura 9: esempio di master dark frame acquisito con una DSLR modello Canon EOS 40D (sensore CMOS). E’ possibile osservare i gradienti termici dovuti alle regioni del sensore più vicine a “punti caldi” dell’elettronica.

CONDIZIONI DI DARK FRAME

Ovviamente, dato che i dark frame contengono l’informazione termica del sensore a semiconduttore è strettamente necessario che questi vengano ripresi nelle medesime condizioni ambientali delle immagini astronomiche. Tale vincolo si traduce nel prevedere un tempo di ripresa dei dark a seguito di una notte astrofotografica oppure nel memorizzare la temperatura di utilizzo della camera CCD astronomica o DSLR nel caso di sensori dotati di sistemi di raffreddamento con controllo della temperatura. Nel caso delle reflex digitali persino l’umidità o la luce ambiente potrebbe influire la ripresa del dark frame e quindi è vivamente sconsigliato la ripresa di questi scatti durante l’alba o il tramonto o in notte successive a quella di ripresa.

Ricordiamo inoltre che alcuni pixel possono diventare caldi o freddi a seguito di una rottura per invecchiamento. Pertanto, nel caso di CCD o DSLR raffreddati è necessario ogni tanto aggiornare le proprie librerie di dark.

 MEDIA O MEDIANA

Sino ad ora abbiamo parlato di rumori, ovvero fenomeni fisici sempre presenti in ogni singolo dark frame. Esistono però altri fenomeni che possono verificarsi solo in alcuni dark frame e non in tutti. Questi fenomeni sporadici rischiano però di introdurre un segnale nella media spurio che al netto andrà a peggiorare la qualità dell’immagine astronomica finale. Un segnale sporadico è ad esempio quello generato dai raggi cosmici (per maggiori informazioni si legga l’articolo “I raggi cosmici e l’astrofotografia digitale”) i quali possono rilasciare parte della loro energia in uno o più pixel liberando un gran numero di elettroni.

Un modo per non considerare in una media i pixel che subiscono solo sporadicamente una grossa variazione del loro Livello di Luminosità è utilizzare invece della classica media aritmetica delle immagini, la mediana. Per maggiore informazioni sui vari algoritmi di media di immagini o più precisamente stacking delle immagini si legga l’articolo “Metodi di Stacking”.

IRIS E IL DARK FRAME

IRIS permette di creare il master dark (inteso come rumore termico medio), partendo dai singoli dark frame e dal master bias frame. Il metodo consigliato per combinare le singole immagini è il metodo della mediana. Per quanto riguarda la procedura operativa da seguire si rimanda alla Guida per l’elaborazione delle immagini astronomiche con IRIS. Chi fosse interessato allo studio metodico del dark frame o semplicemente vuole integrare questo articolo con ulteriori considerazioni e schede tecniche, è pregato di inviare una e-mail a ricerca@astrotrezzi.it .

 




Il Bias Frame

Negli articoli precedenti abbiamo visto come sia possibile creare per ogni elemento fotosensibile di un sensore a semiconduttore un segnale digitale in un certo senso proporzionale al flusso di radiazione incidente. Tale segnale rappresenterà, al termine del processo di formazione dell’immagine, il livello di luminosità di ciascun pixel di cui il sensore è costituito.

Sino ad ora abbiamo però considerato il caso in cui il sensore venga inondato da fotoni. Cosa succede se però scattiamo una fotografia al buio? Con buio intendiamo la totale assenza di luce ovvero la condizione di avere su ogni elemento fotosensibile zero fotoni. Zero fotoni significa che non abbiamo nessuna fonte di energia in grado di liberare elettroni in banda di conduzione e quindi di generare un segnale di carica. Nessun segnale si traduce infine in un segnale di ampiezza zero in uscita dell’ADC e quindi un livello di luminosità pari a 0 ADU. Riassumendo, una fotografia del buio è una matrice di pixel ciascuno con livello di luminosità pari a 0 ADU. Questo ovviamente in linea del tutto teorica. Vediamo ora cosa succede nella realtà.

DENTRO IL FOTOELEMENTO

In assenza di luce la possibilità di avere elettroni in banda di conduzione dovrebbe essere praticamente zero. Eppure l’agitazione termica degli elettroni associata al fatto che l’elemento fotosensibile a semiconduttore ha una determinata temperatura diversa da zero, permette ad alcuni di essi di “saltare” naturalmente dalla banda di valenza a quella di conduzione. Elettroni liberi si traducono al termine della catena elettronica in segnali luminosi. Ecco quindi che alcuni pixel che dovrebbero avere livello di luminosità pari a 0 ADU possono assumere valori differenti. Tale effetto aumenta all’aumentare della temperatura dell’elemento a semiconduttore la quale dipende dalla temperatura ambiente e dal riscaldamento dello stesso durante il funzionamento (effetto Joule). Ricordiamo inoltre che l’emissione di elettroni per agitazione termica è un processo continuo e quindi il numero di “cariche termiche” accumulate aumenta con il tempo di esposizione. Ridurre al minimo il tempo di esposizione significa quindi diminuire il numero di elettroni di natura termica. Inoltre, come detto prima, la temperatura del sensore dipende anche dalla temperatura ambiente. Questo significa che sistemi di raffreddamento come ventole o celle di Peltier, possono ridurre di molto il fenomeno di emissione di elettroni termici. In assenza di sistemi di raffreddamento vedremo quindi una notevole differenza tra le riprese effettuate in inverno e quelle estive. L’emissione di elettroni termici trasforma il vero segnale di buio pari a 0 ADU in un segnale con un livello di luminosità diverso da zero. Questo disturbo prende il nome di rumore termico. Nell’articolo “Il Dark Frame” vedremo come trattare questo tipo di rumore.

Se però ora effettuiamo uno scatto molto veloce al buio, allora il sensore funzionerà per un tempo così limitato da non permetterne il riscaldamento. Inoltre tempi d’esposizione brevi significano capacità nulla di accumulo delle “cariche termiche” ovvero riduzione quasi completa del rumore termico. Ecco quindi che scatti “veloci” al buio dovranno fornire in uscita dal sensore a semiconduttore segnali elettrici nulli come atteso teoricamente.

LA CATENA ELETTRONICA

Un segnale nullo in uscita dell’elemento fotosensibile corrisponde necessariamente ad un Livello di Luminosità del pixel associato pari a 0 ADU? Ovviamente no. La strada che il nostro segnale deve percorrere è lunga e piena di ostacoli. Il processo di amplificazione, conversione analogico – digitale e molti altri di natura elettronica introducono rumori. Se un sensore è progettato bene, allora tutti i rumori introdotti nel processo di formazione dell’immagine devono essere non correlati e di natura prettamente casuale. A questi possono però aggiungersi rumori non casuali come ad esempio interferenze elettroniche.

Nel caso di uno scatto “veloce” al buio quindi ogni pixel assumerà un livello di luminosità diverso da zero. La distribuzione di livelli di luminosità (istogramma) dei pixel di un sensore sarà quindi descritta da una gaussiana per i rumori di natura casuale con distorsioni più o meno consistenti nel caso in cui vi fossero rumori non casuali. Per motivi di natura tecnologica inoltre, il livello di luminosità corrispondente al buio (0 ADU) è traslato ad un valore noto come offset.

Se volessimo riassumere l’effetto dei rumori fin qui analizzati su un pixel per uno scatto “veloce”, ovvero con tempi di esposizioni prossimi a zero secondi, effettuato al buio potremmo dire:

Livello di Luminosità = valore teorico + offset + rumore termico + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Per quanto detto in precedenza, facendo tendere il tempo di esposizione a zero si ha una riduzione drastica del rumore termico che diventa quindi trascurabile. Inoltre il valore in ADU teorico è 0, dato che non ci aspettiamo elettroni. Quindi la nostra espressione diventa.

Livello di Luminosità = offset + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Cosa succede ora se effettuiamo N scatti “veloci” al buio e facciamo la media pixel per pixel del Livello di Luminosità associato? In questo caso ci viene in aiuto la statistica. La media dei valori assunti da una variabile casuale effettuata su un numero di campioni N che tende all’infinito tende al valore vero. Dato che nel nostro caso il rumore elettronico casuale fluttua intorno al valore zero, allora mediando su N scatti con N sufficientemente grande avremo che il rumore elettronico casuale diviene nullo. Pertanto:

Livello di Luminosità [mediato su N scatti] = offset + rumore elettronico non casuale.

Se l’elettronica così come il sensore utilizzato è stata progettata bene e la camera risulta isolata dal punto di vista elettromagnetico, allora il rumore elettronico non casuale dovrebbe essere nullo e il Livello di Luminosità mediato dovrebbe tendere al valore dell’offset del pixel. In caso contrario tale rumore elettronico non casuale, noto come rumore di lettura, sarà presente e non eliminabile dalle nostre immagini astronomiche. Questo può essere ottenuto sottraendo al Livello di Luminosità di un pixel il Livello di Luminosità mediato.

IL BIAS FRAME

Ciascun pixel di un sensore, sia esso CCD o CMOS, possiede quindi un offset. Siamo sicuri che tale offset sia lo stesso per tutti i pixel? Ovviamente no. Ogni pixel (dall’elemento fotosensibile alla catena elettronica) è diverso l’uno dall’altro e pertanto presenta un proprio offset, che mediamente è quello riportato nelle schede tecniche dei sensori. Come fare quindi a normalizzare i nostri pixel, in modo che se fotografiamo il buio otteniamo 0 ADU in ogni pixel? Per fare questo dobbiamo conoscere il valore dell’offset per ogni pixel e sottrarlo ai rispettivi pixel dell’immagine astronomica ripresa. Come fare?

Prendiamo la nostra macchina fotografica digitale (DSLR) o la nostra camera CCD astronomica e poniamo il tappo di fronte all’ottica al fine di non far arrivare fotoni sul sensore ricreando pertanto la condizione di buio. Settiamo come tempo di esposizione il minimo imposto dalle specifiche tecniche della nostra DSLR o camera CCD astronomica (ad esempio 1/8000 secondo per una Canon EOS 40D o 1/1000 di secondo per una ATIK 314L+ B/W). Ricordiamo che per le reflex dobbiamo impostare gli stessi ISO utilizzati per riprendere la nostra immagine astronomica al fine di porsi nelle stesse condizioni di scatto (la catena elettronica funziona in modo diverso a seconda degli ISO impostati). Per lo stesso motivo anche il binning della nostra camera CCD non dovrà essere modificato. Con questi settaggi si riprendano un certo numero di immagini che verranno successivamente mediati al fine di ottenere il Livello di Luminosità medio e quindi l’offset per ciascun pixel del sensore. Tali scatti prendono il nome di bias frame. Quindi, maggiore sarà il numero di bias frame acquisiti, minore sarà l’entità del rumore casuale presente nell’immagine e quindi migliore sarà la determinazione dell’offset. Ricordiamo infatti che, dal punto di vista statistico, la precisione con cui determiniamo l’offset aumenta come la radice quadrata del numero di bias frame acquisiti.

La presenza di rumori non casuali purtroppo va ad aumentare aumentando il numero di bias frame acquisiti e pertanto un basso rumore di lettura è una richiesta importante per un astrofotografo esigente.

Riportiamo di seguito lo studio di un bias frame e della media di 50 bias frame, nota con il nome di master bias frame, per una ATIK 314L+ B/W (sensore CCD) e per una Canon EOS 40D (sensore CMOS).

ATIK 314L+ B/W

L’ATIK 314L+ monocromatica monta un sensore CCD da 1392 x 1040 pixel. Abbiamo ripreso 50 bias frame con binning 1 x 1 e tempo di esposizione pari a 1/1000 secondo. In figura 1 è mostrato il livello di luminosità di un pixel del sensore CCD. Come si vede questo fluttua intorno al valore medio pari a 262.9 ADU con una varianza pari a 15.4 ADU. Lo stesso comportamento è stato mostrato da tutti gli altri pixel che costituisce la matrice del sensore.

Figura 1: Il Livello di Luminosità al variare del bias frame. Come descritto in precedenza questo fluttua intorno al valore “vero” dell’offset pari a circa 262 ADU.

In Figura 2 mostriamo invece la distribuzione dei Livelli di Luminosità (istogramma) dei pixel che costituiscono il sensore per un dato bias frame. La distribuzione è dominata da un rumore di tipo casuale, come dimostra il buon accordo con un fit di tipo gaussiano. Il valore medio della distribuzione è 265.999 ± 0.015 ADU con larghezza pari a 17.774 ± 0.012  ADU. Come atteso, mediando su 50 si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 5.77. Questo non è esattamente quanto previsto teoricamente (7.07) a causa della presenza nel picco gaussiano di contributi non gaussiani (rumori non casuali).

Figura 2: in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CCD in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. Ricordiamo che la larghezza della distribuzione del bias frame è spesso detta readout noise.

Al fine di comprendere l’entità di tali rumori non gaussiani si riporta in figura 3 la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. Come si può notare esistono delle piccole code non gaussiane sicuramente imputabili a del rumore di tipo non casuale. Al fine di determinare se tale rumore è dovuto a fenomeni di interferenza elettronica, abbiamo deciso di sottrarre al bias frame il bias frame mediato (su 50 immagini) e di effettuare su tale differenza l’analisi di Fourier FFT. Il risultato, riportato sempre in figura 3 è uno spettro bianco, sintomo di totale assenza di rumore a frequenza spaziale.

Figura 3: a sinistra la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. A destra lo spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ

 Interessante è l’analisi del master bias. In particolare (Figura 4) è possibile vedere un gradiente tra la zona alta e bassa del sensore. Questo perché durante il seppur breve periodo di trasporto delle cariche, queste stazionano con tempi diversi a seconda della loro posizione sul sensore. I pixel più vicini all’HCCD risultano quindi meno soggetti al rumore termico rispetto a quelli più lontani che integrano tale rumore su un tempo effettivamente maggiore. Questo effetto è invece invisibile nel caso di bias frame acquisiti con sensori di tipo CMOS dove i pixel vengono “svuotati” tutti nello stesso istante. Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La Generazione del Segnale: CCD e CMOS”.

Figura 4: master bias. Si osservi come la regione più bassa e vicina al HCCD sia più buia (minor rumore di tipo termico) della regione più alta. A destra inoltre è visibile ad un pattern legato al supporto del sensore.

Concludendo la camera ATIK 314L+ monocromatica risulta tecnologicamente ben realizzata sia dal punto di vista fisico che elettronico. In particolare il rumore è sostanzialmente di natura casuale mentre la componente dovuta al rumore di lettura risulta praticamente trascurabile.

CANON EOS 40D

Anche nel caso della DSLR Canon EOS 40D, dotata di sensore CMOS da 3888 x 2592 pixel, il Livello di Luminosità dei singoli pixel fluttuano intorno al valor medio dell’offset. La distribuzione di tali valori all’interno di un singolo bias frame è mostrato in figura 5. Il valore medio della distribuzione è 1025.66 ± 0.002 ADU con larghezza pari a 7.631 ± 0.002  ADU (il valore più basso di quello ottenuto per la camera astronomica ATIK314L+ è dovuto alla minor dinamica della Canon EOS 40D). Come atteso, mediando su 50 frame si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 7.86. Questo è paragonabile a quanto previsto teoricamente (7.07) dovuto molto probabilmente al maggior numero di pixel presenti rispetto al CCD precedentemente preso in esame.

Figura 5: a sinistra in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CMOS in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. A destra lo stesso grafico in scala semi-logaritmica.

In questo caso la distorsione dello spettro è più evidente rispetto alla CCD ATIK sintomo della presenza non trascurabile di rumori non casuali. Questo è evidenziato dal medesimo plot in scala semi-logaritmica dove si nota la presenza di code a bassi e alti valori di ADU. Per un’analisi dettagliata del rumore di lettura si è proceduto come in precedenza attraverso la sottrazione degli spettri e l’analisi di Fourier. In questo caso si osserva però un rumore a frequenza spaziale fissata di tipo sinusoidale (Figura 6).

Figura 6: spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ. In questo caso l’immagine non è uniforme e si vede un rumore di tipo sinusoidale con frequenza spaziale fissata.

Riassumendo quindi, sia la ATIK 314L+ che la Canon EOS 40D mostrano un bias frame dominato sostanzialmente dal rumore casuale, quindi riducibile mediando molti frame. Per quanto riguarda la componente non casuale (rumore di lettura) nel caso dell’ATIK non presenta pattern spaziali, mentre per la Canon è stata verificata la presenza di un rumore spaziale di tipo sinusoidale.

CONDIZIONI DI BIAS FRAME

Sino ad ora abbiamo considerato completamente trascurabile il rumore termico presente in ciascun bias frame. Tale assunzione è corretta dato che la variazione della larghezza della distribuzione dei Livelli di Luminosità nel bias frame in funzione della temperatura del sensore è praticamente trascurabile e stimabile intorno allo 0.52%/°C . Purtroppo però spesso non si considera un altro fattore molto importante. Al variare della temperatura del sensore anche l’elettronica ad esso connesso risponde in modo differente ed in particolare abbiamo una variazione del valore assoluto dell’offset in funzione della temperatura. Tale confronto è ben visibile in Figura 7 dove si riporta la distribuzione dei Livelli di Luminosità per bias frame effettuati a diverse temperature del sensore.

Figura 7: Distribuzione dei Livelli di Luminosità in bias frame effettuate a diverse temperature del sensore CCD ATIK 314L+ B/W.

In particolare si osserva una variazione della posizione dell’offset pari al 3.47% in soli 5°C di escursione da +10°C a +5°C. Tale variazione è stata osservata anche per lunghe esposizioni (con conseguente aumento della temperatura del sensore) come riportato nell’articolo Canon EOS 40D”.

Ulteriori test saranno effettuati per verificare nuovamente ed in modo più dettagliato questo tipo di fenomeno. Per il momento possiamo comunque affermare che, data la dipendenza dalla temperatura del valore dell’offset, è sempre consigliabile acquisire i bias frame nelle stesse condizioni ambientali presenti al momento della ripresa astronomica.

MEDIA O MEDIANA?

Sino ad ora abbiamo parlato di rumori, ovvero fenomeni fisici sempre presenti in ogni singolo bias frame. Esistono però altri fenomeni che possono verificarsi solo in alcuni bias frame e non in tutti. Questi fenomeni sporadici rischiano però di introdurre un segnale nella media spurio che al netto andrà a peggiorare la qualità dell’immagine astronomica finale. Un segnale sporadico è ad esempio quello generato dai raggi cosmici (per maggiori informazioni si legga l’articolo “I raggi cosmici e l’astrofotografia digitale”) i quali possono rilasciare parte della loro energia in uno o più pixel liberando un gran numero di elettroni.

Un modo per non considerare in una media i pixel che subiscono solo sporadicamente una grossa variazione del loro Livello di Luminosità è utilizzare invece della classica media aritmetica delle immagini, la mediana. Per maggiore informazioni sui vari algoritmi di media di immagini o più precisamente stacking delle immagini si legga l’articolo “Metodi di Stacking.

IRIS ED IL BIAS FRAME

IRIS permette di creare il master bias, partendo dai singoli bias frame. Il metodo utilizzato per combinare le singole immagini è il metodo della mediana. Per quanto riguarda la procedura operativa da seguire si rimanda alla Guida per l’elaborazione delle immagini astronomiche con IRIS. Chi fosse interessato allo studio metodico del bias frame o semplicemente vuole integrare questo articolo con ulteriori considerazioni e schede teniche, è pregato di invare una e-mail a ricerca@astrotrezzi.it




Notturno a Sormano – 28/12/2012

Riportiamo alcune immagini riprese da Sormano (CO) il 28/12/2012 in condizione di Luna Piena. La camera di ripresa è una Canon EOS 40D + Obiettivo Samyang FishEye 8mm su cavalletto. I dati tecnici sono riportati sotto ciascuna immagine.

We post some pictures taken in Sormano (CO) the 28th of December 2012 with full moon. Camera was a Canon EOS 40D  + Samyang FishEye 8mm lens on tripod. Technical data are reported under each picture.

 

218 sec, 400 ISO, f/22

270 sec., 400 ISO, f/22

300 sec, 400 ISO, f/22

Per scaricare i file originali in formato CR2 clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in CR2 format (password request)




La “modifica Baader” per DSLR

L’avvento della fotografia digitale ha aperto un nuovo mondo all’astrofotografo che da pellicole ipersensibilizzate, tiraggi e rullini in frigorifero si è ritrovato catapultato nel pianeta del rumore elettronico, somme e flat field.

Se però in passato per riprendere il cielo era necessaria tanta esperienza sul campo e una reflex, oggi non è più cosi. Infatti gran parte dell’esperienza la si fa davanti al computer sfogliando i numerosi articoli presenti sul web mentre una reflex digitale offre si la possibilità di riprendere il cielo ma con molte limitazioni. Infatti al fine di migliorare le immagini fornite dai sensori digitali, che altrimenti risulterebbero poco definite, si è deciso di montare di fronte al sensore CMOS un filtro IR-cut. Questo è importantissimo per le riprese diurne ma è un peso insostenibile per l’astrofotografo notturno. Tale filtro è vero che taglia l’IR ma, allo stesso tempo, diminuisce notevolmente la sensibilità del sensore nella regione rossa dello spettro elettromagnetico ed in particolare in prossimità della lunghezza d’onda a 6561.1 Å nota come linea Hα dell’Idrogeno. Gran parte delle nebulose purtroppo emettono in questa frequenza e una riduzione di efficienza quantica in tale zona risulta pertanto dannosa in termini astrofotografici.

Ecco quindi che l’azienda Baader ha messo in produzione alcuni filtri che, se sostituiti a quelli ufficiali posti di fronte al sensore delle DSLR, permettono di recuperare completamente l’efficienza quantica in quella regione dello spettro. I filtri Baader rimangono dei filtri IR-cut, dato che la radiazione IR deve comunque essere bloccata al fine di salvaguardare la qualità dell’immagine, ma allo stesso tempo risultano trasparenti alla linea Hα dell’Idrogeno. Ovviamente la Baader non è l’unica azienda che produce filtri del genere ma ad oggi la sostituzione del filtro originale con uno astronomico prende generalmente il nome di “modifica Baader”. Anche Canon ha prodotto due modelli di reflex digitali con filtri modificati per l’astronomica ed esattamente la Canon EOS 20Da e la moderna Canon EOS 60Da.

Figura 1: L'efficienza quantica dei pixel rossi di una Canon EOS 40D originale (linea tratteggiata) e modificata Baader (linea continua). La banda nera rappresenta la posizione della linea Hα dell'Idrogeno, lunghezza d'onda dove emettono gran parte delle nebulose.

Escludendo questi modelli “commerciali”, la sostituzione dei filtri Baader è a carico del consumatore che può comunque fare affidamento su persone specializzate nel settore che sostituiscono il filtro ad un prezzo contenuto.

Ma quanto si guadagna in termini astrofotografici con la sostituzione del filtro? La risposta è semplice: molto. Se si considera ad esempio una Canon EOS 40D; l’efficienza quantica dei pixel rossi passa dal 8.09% originali al 24.61% del modello modificato Baader (vedi Figura 1). Un fattore 3 in efficienza quantica svolge un ruolo fondamentale nella buona riuscita di una ripresa astronomica. Un confronto tra due riprese effettuate con una Canon EOS 500D originale e modifica è riportato in Figura 2.

Cosa possiamo dire riguardo i pixel verdi e blu? Come influisce la modifica su questi tipi di pixel? La risposta è semplice e la trovate nella figura 1 dell’articolo “Efficienza Quantica”. La modifica Baader sostanzialmente non modifica l’efficienza quantica dei pixel verdi e blu. Questo si traduce nel non avere nessun tipo di guadagno in luminosità per oggetti di quel colore. Pertanto, riprendere nebulose come quella che circondano le Pleiadi o galassie come la Grande Galassia di Andromeda, con filtro originale o Baader, non comporta nessuna differenza.

Figura 2: Un confronto tra due immagini della nebulosa M8 ed M20 nel Sagittario riprese con una Canon EOS 500D originale (immagine di sinistra) e modificata (immagine di destra).




Efficienza Quantica

Nell’articolo Il fotoelemento: fotodiodo e photogateabbiamo visto come un fotone di lunghezza d’onda compresa tra 350 e 1100 nm ha una certa probabilità di venir “convertito” in elettroni liberi. Ovviamente quanto detto è un concetto generale che in questo post andremo ad approfondire più dettagliatamente. In primo luogo ricordiamo che il limite a bassa lunghezza d’onda è fissato dalla riflessione dei fotoni incidenti sul Silicio che compone il fotoelemento mentre quello ad alta lunghezza d’onda è fissato dall’energy gap del materiale. A lunghezze d’onda inferiori e superiori il Silicio diviene praticamente trasparente (riflettente) alla radiazione luminosa.

Nell’articolo E’ questione di elettroni abbiamo detto che se un fotone si trova nel range di lunghezze d’onda appropriato, questo verrà assorbito dal fotoelemento. Questo è vero se lo spessore del Silicio fosse infinito. Infatti un fotone di lunghezza d’onda λ ha una determinata probabilità P di essere assorbito da uno spessore d di Silicio. Per un fotoelemento, tale probabilità è generalmente inferiore al 100% e aumenta all’aumentare di d. Questo spiega perché i sensori retroilluminati (più spessi) sono anche quelli più sensibili alla radiazione luminosa.

Ora, P(λ) rappresenta veramente la probabilità che un fotone di lunghezza d’onda λ venga registrato dal nostro sensore, sia esso di tipo CCD o CMOS? Ovviamente no. Infatti P(λ) non tiene in considerazione la geometria del fotoelemento, la capacità di raccogliere la carica depositata e molti altri fattori. La grandezza fisica che raccoglie tutte queste informazioni è detta efficienza quantica QE. Ovviamente QE è funzione di λ e riflette complessivamente l’andamento di P(λ).

L’efficienza quantica, per definizione, è riferita ad un singolo fotoelemento e quindi è un concetto generalizzabile ad un sensore a patto di considerare la risposta di ciascun pixel alla luce identica. Inoltre la risposta del Silicio alla luce dipende dalla temperatura dello stesso ed in particolare si ha una riduzione di QE al diminuire della temperatura di funzionamento. Quindi non è sempre detto che un Silicio funziona tanto meglio quanto raffreddato (si veda l’articolo “Il dark frame”).

Al fine di migliorare l’assorbimento della luce, solitamente viene posto uno strato antiriflesso di fronte al fotoelemento.

Nel caso delle DSLR è necessario prendere in considerazione anche la presenza dei filtri interposti nel cammino ottico. In particolare il filtro IR-cut posto di fronte al sensore e la matrice di filtri colorati RGB. Ecco quindi che rivenditori, come ad esempio Nikon o Canon, forniscono per ogni fotocamera digitale tre curve di efficienza quantica, una per ciascun filtro colorato.

In figura 1 riportiamo l’efficienza quantica dell’occhio umano, di un sensore CCD (Atik 314L+ monocromatica), di un sensore CMOS (Magzero MZ-5m) e di una reflex digitale (sensore CMOS Canon EOS 40D) con e senza modifica Baader.

Figura 1: confronto tra efficienze quantiche di diversi strumenti per la visione/ripresa notturna.




Canon EOS 40D

Questo post, in continuo aggiornamento, riporta una serie di test effettuate su una DSLR modello Canon EOS 40D acquistata nel 2009.

Rumore in funzione del tempo di esposizione
Questo test si prefigge di studiare la variazione del rumore in funzione del tempo di esposizione (e quindi della temperatura) per sensibilità fissata, pari a 100 ISO. Con rumore intendiamo la larghezza della gaussiana relativa al valore di buio. Infatti se riprendiamo un’immagine di buio (dark), effettuata ad esempio ponendo il tappo di fronte all’obiettivo, dovremmo ottenere in linea teorica una riga a 0 ADU corrispondente alla situazione di zero fotoni raccolti in ciascun fotoelemento. Per questioni di natura fisica ed elettronica, si è deciso di associare al valore di buio un certo numero di ADU noto come offset. Inoltre vari rumori (casuali) associati al processo di fotorivelazione fanno si che lo spettro di buio non sia una riga ma una distribuzione gaussiana centrata nell’offset e con larghezza pari al rumore. Lo spettro di buio a 100 ISO a macchina “fredda” (25 °C) e a tempo di esposizione pari a 1/8000 secondo è riportato in figura 1.

Figura 1: Spettro di buio di una Canon EOS 40D (1/8000 secondo, 25°C @ 100 ISO)

Un fit gaussiano dello spettro di buio mostrato in figura 1 fornisce un valore del rumore pari a σ = 5.55 ADU, confrontabile con il valore del readout noise di 5.74 ADU misurato da Christian Buil (http://www.astrosurf.com/buil/eos40d/test.htm). Questo valore dipende evidentemente dalla sensibilità utilizzata e dal tempo di esposizione. In figura 2 è riportato il valore del rumore in funzione del tempo di eposizione. Come si vede si ha un aumento esponenziale in scala semilogaritmica che si traduce in un andamento lineare in funzione del tempo di esposizione. Un fit lineare fornisce un coefficiente angolare pari a 0.003774 ADU/s ed un valore di rumore zero pari a 5.46 ADU. Questo porta ad un aumento del rumore pari a 0.23 ADU/min pari al 4.1% del valore zero.

Figura 2: rumore in funzione del tempo di esposizione per sensibilità pari a 100 ISO (punti rossi). In blu è stato sovrapposto il fit lineare.

Durante la prova è stata monitorata anche la temperatura della camera (estraendola dai dati EXIF), il cui andamento in funzione del tempo è riportato in figura 3.

Figura 3: andamento della temperatura della camera in funzione del tempo.

Rumore in funzione degli ISO
Il rumore non è solo funzione del tempo di esposizione ma anche della sensibilità utilizzata. Si è pertanto effettuata una misura di rumore mantenendo costante la quantità di luce raccolta. Questo si traduce nella scelta dei seguenti tempi di esposizione: 480 sec. @ 100 ISO (33°C), 240 sec. @ 200 ISO (36°C), 120 sec. @ 400 ISO (36°C),  60 sec.  @ 800 ISO (38°C), 30 sec. @ 1600 ISO (38°C) e 15 sec. @ 3200 ISO (38°C). L’andamento del rumore in funzione degli ISO è mostrato in figura 4.

Figura 4: andamento del rumore in funzione della sensibilità (ISO).

Offset in funzione del tempo di esposizione
L’offset o bias è il valore in ADU associato al segnale di buio. Il fit dello spettro mostrato in figura 1 con una distribuzione gaussiana fornisce un valore del centroide, corrispondente all’offset, pari a 1024.72 ADU compatibile con il valore 1024 ADU misurato da Christian Buil (http://www.astrosurf.com/buil/eos40d/test.htm). Purtroppo l’offset ha una leggera dipendenza dal tempo di esposizione (e quindi dalla temperatura) riportata in figura 5. Da un fit lineare si evince un coefficiente angolare pari a – 0.0095 ADU/s ed un valore di offset zero pari a 1024.82 ADU. Questo porta ad una variazione dell’offset di 0.57 ADU/min pari al 0.056% del valore zero.

Figura 5: posizione dell'offset in funzione del tempo di esposizione per sensibilità pari a 100 ISO (punti rossi). In blu è stato sovrapposto il fit lineare.




Via Lattea – 17/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 17/08/2012 – Via Lattea dal Sagittario al Cigno

Somma di 4 immagini da 10 minuti 400 ISO + 30 bias + 7 dark + 30 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Obiettivo di ripresa: Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 18 mm f/4.6 + Camera Canon EOS 40D. Ripresa non inseguita su montatura EQ 3.2

 

 

Via Lattea - 17/08/2012




Via Lattea – 17/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 17/08/2012 – Via Lattea dal Cigno a Perseo

Somma di 13 immagini da 10 minuti 400 ISO + 30 bias + 7 dark + 30 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Obiettivo di ripresa: Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 18 mm f/4.6 + Camera Canon EOS 40D. Ripresa non inseguita su montatura EQ 3.2

 

 

Via Lattea - 17/08/2012




Star Trail – 18/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 18/08/2012 – Star Trail

Somma di 41 pose da 240 secondi a 800 ISO effettuata con Stratrails. Camera di ripresa Canon EOS 40D + Canon EF-S 18-55 IS a 18mm f/4.6.

 

 

 

Star Trail - 18/08/2012