La paura del buio è considerata una fase normale dello sviluppo di un essere umano che può sfogare in nictofobia nel caso in cui l’esposizione al buio crea un’estrema reazione di stress capace di portare limitazioni alla vita di tutti i giorni. A differenza di quanto generalmente si pensi la nictofobia, in forma più o meno acuta, non è presente solo in età infantile ma si può prolungare all’età adolescenziale e adulta. Il buio viene avvertito dall’essere umano come indice di pericolo in quanto nasconde informazioni riguardanti l’ambiente circostante. L’esistenza della paura del buio è generalmente non esperienziale ma innata, causata da un precedente apprendimento associativo, diretto o indiretto. In particolare, fattori ambientali o di sviluppo giocano un ruolo importante nel progresso di questa fobia specifica. Da un punto di vista evoluzionistico, la paura del buio può essere stata funzionale al monitoraggio della minaccia poiché, allora come oggi, molti predatori cacciano di notte. Inoltre, tale paura rientra nell’ambito delle paure di ciò che non si può vedere, di ciò che non si conosce ovvero di ciò che si può nascondere nell’oscurità. 400 mila anni fa, nel lontano Paleolitico, l’uomo iniziò ad utilizzare il fuoco per illuminare i luoghi dedicati al riposo notturno, siano essi spazi aperti o caverne.

Figura 1: Il fuoco, la prima forma di illuminazione notturna utilizzata dall’uomo.

Questo fatto portò ad una riduzione sostanziale della sensazione di pericolo indotto dalla notte con un conseguente aumento del benessere personale dei primi uomini. Nel caso specifico, anche il pericolo effettivo venne ridotto in quanto il fuoco era davvero in grado di mantenere a distanza i tanto temuti predatori notturni. Fu quindi la paura del buio a spingere i nostri lontani antenati ad illuminare l’ambiente notturno generando la prima forma di inquinamento luminoso. Questo è infatti definito come “l’introduzione diretta o indiretta di luce artificiale nell’ambiente”. Ovviamente, anche in Italia i primi uomini utilizzarono il fuoco, essendo la nostra penisola già abitata nel Paleolitico. Quando parliamo di Italia però intendiamo solitamente le regioni centro-meridionali o costiere. In Lombardia infatti, le prime testimonianze dell’uomo le troviamo solo nel Paleolitico medio o superiore (meno di 120 mila anni fa) presso la grotta del Buco del Piombo (Erba – CO) dove alcuni cacciatori nomadi vi soggiornarono.  In ogni caso, nel Paleolitico, la popolazione mondiale era formata da un gruppo esiguo di individui, inizialmente nomadi, compresi tra 1 e 15 milioni. Un essere umano per ogni lampione oggi installato nella sola Italia.

La fonte di illuminazione consisteva nel fuoco vivo, sotto forma di focolari e rudimentali torce. Inizialmente il fuoco non veniva prodotto artificialmente ma generato da fenomeni naturali e conservato il più a lungo possibile. Proprio per questo motivo venne considerato da alcuni primi uomini come un elemento sacro. 

Figura 2: lo spettro di emissione di un focolare.

Dal punto di vista fisico, un focolare emette radiazione elettromagnetica caratterizzata da uno spettro continuo centrato nella radiazione infrarossa (vedi figura 2). Inoltre, è presente un intenso picco di emissione a 4300 nm (IR) dovuto alla presenza di CO2. Questo spiega perché il fuoco oltre ad essere una sorgente di luce è anche, e soprattutto, una sorgente di calore.

Intorno all’anno 10’000 a.C., l’uomo del Neolitico scoprì che l’utilizzo di grassi di origine animale o vegetale (olio) potevano mantenere vivo il fuoco per un tempo superiore rispetto al semplice legname. Nello stesso periodo venne inventata la terracotta con cui fu possibile creare recipienti per conservare, trasportare e cucinare gli alimenti. Anche la società umana era cambiata passando, poche migliaia di anni prima, dal nomadismo ad una vita sedentaria.

La nascita dei primi villaggi unita all’aumento della qualità degli utensili prodotti, portarono ben presto alla nascita delle prime lucerne costituite da recipienti quali corna, conchiglie o ciotole, riempite di grasso in cui veniva immersa una corda vegetale. Quest’ultima, una volta accesa, poteva conservare il fuoco per i focolari o essere utilizzata come fonte portatile di luce. Centinaia di simili manufatti vennero ritrovati nella grotta di Lascaux.

Figura 3: lucerna di epoca romana (100-200 d.C.) rivenuta a Angera (VA) – Museo Archeologico di Lecco

Fin dal Paleolitico medio, inoltre, l’uomo iniziò un processo che lo portò dall’essere preda a predatore assoluto. Questo ovviamente andrò via via diminuendo la paura del buio. Ma allora perché illuminare le notti? Il focolare cambiò lentamente la sua funzione passando da strumento di protezione dai predatori a strumento di aggregazione sociale. Infatti, intorno al fuoco si cucinava il cibo e lo si mangiava insieme. Le ore dopo il tramonto vennero così utilizzate per pianificare le attività del giorno successivo o per discutere delle esperienze passate. Fu proprio intorno ad un focolare che molto probabilmente nacque il linguaggio umano.

Nei quasi dieci mila anni che separano il Neolitico dall’antica Roma, l’uomo sviluppò tecniche via via sempre più complesse per la conservazione e la generazione del fuoco. Nel 500 a.C. vennero inventate le prime candele e torce, ovvero l’utilizzo di grasso animale solido in cui veniva immerso uno stoppino. Inoltre, era stato sviluppato il linguaggio parlato e scritto portando l’uomo ad abbandonare la preistoria per entrare nella storia. Anche i primi villaggi si trasformarono ben presto in città composte da abitazioni realizzate in pietra e legno. Proprio quest’ultimo materiale iniziò a diventare incompatibile con l’utilizzo del fuoco. Ben presto si svilupparono incendi di grandi dimensioni capaci di distruggere interi centri abitati. L’utilizzo di candele, torce, lucerne e focolari vennero così ridotti al minimo e la notte tornò ad essere buia. D’altronde la paura del buio era ora marginale e superata dalla paura per gli incendi. In epoca romana quindi ci si muoveva di notte solo in presenza della Luna Piena oppure, nel caso delle famiglie più ricche, accompagnati da servi dotati di torce o candele: i cosiddetti lanternarius. Se escludiamo le poche case nobiliari, le uniche sorgenti di inquinamento luminoso dell’epoca romana erano quindi i lanternarius.

Figura 4: le torce utilizzate dai lanternarius per accompagnare di notte i nobili romani.

Dal punto di vista fisico: lucerne, candele e torce sono sorgenti di radiazione elettromagnetica caratterizzata da uno spettro continuo centrato nella radiazione infrarossa analogo a quello mostrato in figura 2. Questo perché il processo di generazione della luce visibile è lo stesso del fuoco ovvero la combustione dell’ossigeno.

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